Giappone: problema con il reattore numero due della centrale di Fukushima perde acqua contaminata. Falliti i tentativi di bloccare la falla con il cemento, i tecnici della Tepco hanno scelto il male minore: riverseranno in mare acqua lievemente radioattiva, in modo tale che nelle cisterne rimanga spazio per immagazzinare quella con il più alto tasso di pericolosità.
Nell’oceano finiranno 11.500 tonnellate di acqua, con una concentrazione di radiazioni circa 100 volte superiore al limite legale. Sono operazioni complesse e delicate quelle che si stanno effettuando per riportare in sicurezza la centrale di Fukushima.
La crepa nel reattore è stata individuata nei giorni scorsi. L’acqua contaminata al momento rappresenta l’emergenza numero uno.
Bisogna eliminarla dall’impianto, perché impedisce le operazioni di raffreddamento decisive per rimettere in sicurezza la centrale. E, fino a quando non sarà arginata la perdita, bisogna trovare il modo di raccoglierla riducendo il più possibile l’impatto ambientale.
Il governo giapponese, attraverso il portavoce Yukio Edano, insiste: «Se la situazione attuale dovesse continuare a lungo, con l’accumulo di ancora più sostanze radioattive, questo avrebbe un impatto enorme sull’oceano». Quella di riversare in mare il liquido meno radioattivo è evidentemente una misura di emergenza. Nel frattempo, bisogna trovare una soluzione maggiormente sostenibile per immagazzinare l’acqua contaminata che fuoriesce dalla centrale.
Resta valida l’ipotesi avanzata nei giorni scorsi di realizzare una mega isola artificiale da utlizzare come serbatoio temporaneo. La situazione viene sintetizzata da Vincenzo Petrone, ambasciatore italiano a Tokyo, intervistato da Sky Tg24: «il raffreddamento con mezzi improvvisati dei reattori ha provocato una grande pozza di acqua contaminata di circa 13mila tonnellate. Bisogna disporre di questa quantità notevole di acqua nella maniera meno inquinante possibile e una delle possibilità è quella di creare un’isola di contenimento di fronte alla centrale in mare», dove raccogliere il liquido che poi in un secondo tempo potrà essere messo in sicurezza da un’altra parte.
I tecnici hanno anche iniettato del colorante bianco nell’acqua che si accumula nella centrale per tracciarne il percorso e individuare altre possibili perdite. Al momento non hanno rilevato «variazioni significative nel volume della fuga», ha ammesso un portavoce della Tepco.
Quanto alle radiazioni nell’aria, la zona di evacuazione resta limitata a un’area di 20 km dall’impianto, anche se si sono moltiplicati gli allarmi per livelli pericolosi in un raggio più ampio (Greenpeace parla di 40 km).