Le motivazioni per cui la Fiat guidata da Sergio Marchionne ha deciso di uscire da Confindustria «non stanno in piedi» secondo la presidente degli industriali Emma Marcegaglia. La lettura che il Lingotto propone degli accordi interconfederali del 21 settembre è «tecnicamente e politicamente inesatta» sottolinea Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, ovvero uno dei sindacati firmatari (insieme alla Uil) dei contratti di Pomigliano e Mirafiori che invece non sono siglati dalla Cgil. Accordi che sono stati determinanti nella decisione comunicata ieri da Fiat.
A dimostrarlo, un carteggio che negli ultimi mesi c’è stato fra lo stesso Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia: già lo scorso 30 giugno, dunque due giorni dopo la firma degli accordi sulla rappresentanza e sui contratti del 28 giugno (poi confermati il 21 settembre) Marchionne scriveva alla presidente di Viale dell’Astronomia, dimostrando apprezzamento per un «primo importante passo» che però, chiedeva l’ad del Lingotto, avrebbe dovuto essere seguito da «ulteriori passi» per avere «quelle garanzie di esigibilità necessarie per la gestione degli accordi raggiunti per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco».
Già allora Emma Marcegaglia rispondeva di ritenere che l’intesa garantisse le istanze Fiat «in quanto le intese di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco possono facilmente rientrare nelle nuove norme pattuite».
Poi, nel corso dell’estate, c’è stata la manovra economica, in cui è stato inserito l’articolo 8 sui contratti aziendali, e quindi la firma del 21 settmembre, quella che secondo Marchionne ha introdotto nuove incertezze, indebolendo la legge in manovra. Da qui, l’annuncio di ieri sull’uscita da Confindustria.
Ed è su questo che Marceglia dissente. «Abbiamo chiesto un parere ai tre maggiori giuslavoristi del Paese e tutti ci hanno confermato che l’articolo 8 non viene affatto depotenziato» ha spiegato la presidente degli industriali rispondendo a quello che da più parti è stato definito “lo schiaffo di Marchionne”.
La presidente degli industriali porge anche una mano alla Fiat, parlando della necessitrà di cercare «una ricucitura con tutti, indispensabile in un momento come questo».
Marcegaglia manda anche un segnale più politico, questa volta non rivolto a Marchionne: «Si illude chi scommette su una Confindustria più debole senza la Fiat». Come si vede, la partita è notevole ed è ulteriormente complicata dal fatto che, sullo sfondo, c’è ad esempio la questione del dopo-Marcegaglia in Confindustria (il mandato, iniziato nel 2008, scade nel 2012).
Comunque, l’uscita della Fiat ripropone con forza la questione del sistema delle relazioni industriali in Italia che è sul tavolo proprio da quando sono stati firmati i contratti di Pomigliano prima e di Mirafiori poi, e che la stessa Confindustria ha a più riprese affermato di voler affrontare.
E qui si inserisce la reazione di un altro dei protagonisti delle vicenda, Raffaele Bonanni. Il quale è a sua volta scettico sulla decisione di Marchionne: Bonanni, intervistato dal Sole 24 Ore, difende l’accordo del 28 giugno, che ha anche rappresentato «una risposta ai temi sollevati dalla Fiat nel confronto per la definizione del piano Fabbrica Italia», spiega che la ratifica del 21 settembre conferma la possibilità di accordi aziendali e al limite aggiunge la volontà delle parti di non voler fare ricorso alle deroghe sull’articolo 18, «e non mi sembra che la Fiat lo avesse richiesto», sottolinea. Comunque, anche Bonnani auspica un chiarimento che vada nel senso della coesione sociale.
Quanto alla Cgil, sottolinea che Fiat «non vuole rispettare le regole e nega la rappresentanza», e definisce «spiacevole» il rimettere in discussione i «passi avanti fatti con gli accordi che hanno come obiettivo la ricostruzione di regole nell’ambito di nuove e rinvigorite relazioni sindacali».