Mobbing: il demansionamento non è sufficiente

di Teresa Barone

9 Aprile 2013 08:00

Non si può definire mobbing il semplice svuotamento di mansioni ai danni di un lavoratore senza dimostrare l?intento vessatorio.

Il demansionamento ai danni di un lavoratore non è sufficiente per accusare l’azienda di mobbing, ma è sempre necessario accertare l’esistenza di un intento persecutorio: lo stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza 7985 del 2 aprile 2013.

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Secondo la Suprema Corte, infatti, il lavoratore deve sempre dimostrare di aver subito comportamenti vessatori mirati alla sua emarginazione, pertanto il semplice svuotamento di mansioni non può essere preso in considerazione per accusare il datore di lavoro di mobbing.

La sentenza è stata emessa respingendo le accuse di un dipendente comunale contro la stessa amministrazione, rea di aver revocato all’impiegato l’incarico di responsabile di sezione dequalificandolo professionalmente.

«Non vi è contraddittorietà della motivazione in quanto il ricorrente non tiene conto che, secondo la Corte del merito il mobbing presuppone l’esistenza, e, quindi, l’allegazione di una serie di atti vessatori teleologicamente collegati al fine dell’emarginazione del soggetto passivo.»

Per dimostrare di essere stati vittime di mobbing, inoltre, è sempre necessario produrre prove che siano inerenti a fatti specifici e rilevanti, quindi non semplicemente basate sulla revoca di un incarico.

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La Cassazione si è espressa in tema di demansionamento anche attraverso una sentenza emessa nel maggio 2012, definendo la responsabilità del datore di lavoro nel caso di violazione del diritto del lavoratore di “svolgere le mansioni per le quali è stato assunto” e a non essere “lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti”.

«La violazione di tale diritto del lavoratore all’esecuzione della propria prestazione è fonte di responsabilità risarcitoria per il datore di lavoro, responsabilità che, peraltro, derivando dall’inadempimento di un’obbligazione, resta pienamente soggetta alle regole generali in materia di responsabilità contrattuale: sicché, se essa prescinde da uno specifico intento di declassare o svilire il lavoratore a mezzo della privazione dei suoi compiti, la responsabilità stessa deve essere nondimeno esclusa – oltre che nei casi in cui possa ravvisarsi una causa giustificativa del comportamento del datore di lavoro connessa all’esercizio di poteri imprenditoriali, garantiti dall’art. 41 Cost., ovvero di poteri disciplinari – anche quando l’inadempimento della prestazione derivi comunque da causa non imputabile all’obbligato.»