Il 60% dei dipendenti che svolge la sua professione all’interno di un ufficio open-space odia il suo ambiente di lavoro: secondo una ricerca promossa dall’Università di Sidney la mancanza di pareti divisorie tra le postazioni rappresenta una notevole fonte di stress e frustrazione.
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A essere messa sotto accusa è, infatti, la pressoché totale mancanza di privacy, così come il timore che qualsiasi conversazione possa essere inevitabilmente ascoltata dai colleghi. Lo studio (che apparirà all’interno dell’edizione di dicembre del Journal of Environmental Psychology) ha coinvolto un campione di 42mila lavoratori attivi negli USA, in Finlandia, in Canada e in Australia, mostrando un generale malcontento e mettendo in evidenza possibili ripercussioni sull’efficienza e la produttività.
Il 30% dei dipendenti interpellati lamenta, inoltre, notevoli carenze per quanto concerne la “privacy visiva”, sottolineando il disagio che nasce dal dover stare per otto ore sotto lo sguardo attento dei colleghi e dei responsabili, ma anche dall’essere obbligati a guardare in faccia i colleghi per i quali non si nutre alcuna simpatia.
«La struttura degli uffici open-space è stata pesata proprio per aumentare la soddisfazione sul posto di lavoro e l’efficacia del lavoro di squadra, tuttavia negli ultimi anni abbiamo potuto appurare come i dipendenti che lavorano in questo tipo di ambiente siano molto meno soddisfatti rispetto a coloro che occupano uffici chiusi.»
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Stando a quanto affermato da un altro studio, inoltre, gli uffici open-space potrebbero ridurre le performance professionali dei dipendenti più efficienti, che proprio per la mancanza di “barriere” potrebbero essere maggiormente propensi a offrire sostegno ai colleghi meno esperti a discapito del loro lavoro.