Work-life blend: lavoro e privato senza distinzioni

di Teresa Barone

30 Giugno 2014 09:00

Varcare il confine tra lavoro e tempo libero grazie a smartphone e cloud: gli italiani sono esperti in materia, ma attenzione ai rischi ?

Cosa succede quando la separazione tra lavoro e tempo libero si assottiglia fino a sparire? Lo sanno bene gli italiani, sempre più spesso dediti alla pratica definita Work-life blend.

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Con questa espressione si definisce lo sconfinamento tra lavoro e privato nel momento in cui lo svolgimento delle mansioni lavorative avviene anche al di fuori degli orari d’ufficio, grazie soprattutto ai moderni device mobile e alle risorse cloud.

Secondo un’indagine promossa da Samsung e condotta su 4500 utenti di tutta Europa, italiani compresi, il 90% di questi ultimi si dedica regolarmente alle attività lavorative anche nel tempo libero, controllando le email e rielaborando documenti, così come dedicandosi alle telefonate che esulano dal privato.

Per gli italiani si tratta, tuttavia, di una scelta motivata dalla ricerca di una migliore gestione degli impegni personali (lo sostiene il 43% degli intervistati), mentre per il 34% il Work-life blend aiuta a tenere lontano lo stress.

Gli italiani sono anche gli utenti meno attenti al rispetto delle regole di sicurezza imposte dall’azienda, spesso esposta a pericoli e rischi dovuti a uno scorretto utilizzo dei dispositivi tecnologici utilizzati per la condivisione di documenti delicati: il 27% dei lavoratori nostrani interpellati, ad esempio, dichiara di usare il proprio smartphone per finalità lavorative senza tuttavia avere la certezza di avere il consenso del datore di lavoro.

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A tal proposito il Consumer and Business Psychologist dello University College di Londra, Dimitrios Tsivrikos, segnala alcune metodologie di sicurezza: «Se non l’hanno già fatto le aziende europee dovrebbero sviluppare policy lavorative e sulla sicurezza, oltre che strategie tecnologiche, che abbiano al centro il comportamento delle proprie persone. Conviene seguire il consiglio: entro la fine dell’anno l’Unione Europea renderà obbligatorio il nuovo regolamento sulla protezione dei dati, e l’ultima bozza del documento prevede multe fino a 100 milioni di euro (o il 5% del fatturato annuo a seconda di quale delle due cifre sia maggiore) per le aziende che dovessero infrangere le norme, per esempio processando i dati in modo non sicuro.»