Ridurre il numero dei giovani NEET in Italia porterebbe un aumento del PIL pari al 7 o 9%. I giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati nella ricerca di un impiego rappresentano una risorsa per l’economia della nazione, che tuttavia non garantisce sufficienti iniziative per promuoverne la formazione e l’occupazione.
=> Generazione NEET
Lo rivela lo studio Young Workers Index, stilato da Pwc, report che colloca l’Italia in fondo alla classifica che comprende 35 Paesi e che vede in cima Svizzera, Germania e Austria.
Prendendo in esame le nazioni sulla base di tre parametri (livello occupazionale, scolarizzazione, formazione), il rapporto sottolinea il netto gap tra la penisola e altri Paesi europei, come afferma Francesco Ferrara, Partner di PwC:
«Nello studio abbiamo identificato tre leve chiave che caratterizzano il mercato del lavoro nei Paesi con le migliori performance. Innanzitutto, un sistema educativo duale come quello tedesco, che combina educazione scolastica e formazione professionale così da offrire molteplici opzioni per i giovani nella loro transizione al mondo del lavoro. Secondariamente anche un differente approccio da parte delle aziende rispetto all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, con iniziative come brevi esperienze professionali, mentoring e consulenza mirata a supporto dell’engagement dei giovani e della loro preparazione. Infine, anche l’attenzione all’inclusione sociale attraverso forme di recruiting innovative è importante per mitigare le barriere che più ostacolano l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani provenienti dai contesti socio-economici meno avvantaggiati.»