Internazionalizzazione, lo sviluppo su nuovi mercati

di Filadelfo Scamporrino

16 Giugno 2009 07:00

L'espansione di un'impresa al di fuori dei confini nazionali ai tempi della globalizzazione. La forza e la valorizzazione del marchio e l'importanza degli investimenti diretti

L’espansione di un’impresa al di fuori dai confini nazionali rappresenta uno dei fattori chiave sia per la sostenibilità di lungo termine dell’attività, sia per lo sviluppo in quelle aree dove si ottengono dei margini di profitto più elevati. Un’impresa il cui tasso di redditività dipende fortemente da un’unica area geografica è maggiormente soggetta ai cicli economici, e si espone maggiormente all’andamento ciclico della domanda rispetto invece a quelle imprese che sono in grado di esportare e/o produrre i propri prodotti in più Paesi. L’internazionalizzazione di molte imprese è spesso di tipo puramente commerciale: trattasi di aziende come ad esempio alcune operanti nel nostro Paese, che producono solo ed esclusivamente in Italia, ma che, sfruttando l’innovazione di prodotto e la forza del “made in Italy”, sono in grado di catturare la domanda di molti Paesi esteri.

In tal caso l’impresa è chiamata costantemente a concentrarsi, oltre che sulla qualità del prodotto, spesso di nicchia e quindi meno soggetto ad “imitazioni”, anche sulla promozione e sul mantenimento ad alti livelli della solidità, onorabilità e qualità del marchio. Se l’espansione/internazionalizzazione commerciale è tipica delle piccole imprese, di norma le medie e grandi imprese, oltre a vendere i propri prodotti al di fuori dai propri confini, esercitano un controllo diretto sui mercati esteri di riferimento effettuando degli investimenti diretti sia con stabilimenti produttivi, sia stipulando joint venture con società dello stesso comparto in modo tale, attraverso partecipazioni minoritarie o maggioritarie, dirette e/o indirette, da esercitare un ruolo attivo sulle decisioni operative strategiche, e quindi tutelando e salvaguardando all’estero le proprie quote di mercato, magari incrementandole.

Oltre alla partecipazione diretta o indiretta nel capitale di altre società all’estero, l’internazionalizzazione di un’impresa si può esprimere anche attraverso la stipula di accordi e di licenze anche tra aziende operanti in settori affini: basti pensare, ad esempio, ai produttori di personal computer che stipulano accordi con società di software, oppure produttori di occhiali che, a seguito di un accordo di co-branding, sfruttando ad esempio il marchio di una nota casa automobilistica oppure di moda, oppure ancora di un produttore di abbigliamento. I processi di internazionalizzazione di un’impresa sono legati, nel breve termine, alla massimizzazione dei profitti traendo il massimo vantaggio in termini di vendite e margini dalle aree geografiche più profittevoli, mentre nel medio e lungo termine il management deve essere in grado di capire e prevedere i movimenti ed i flussi commerciali internazionali al fine di gestire dinamicamente il proprio sviluppo all’estero anche attraverso l’espansione verso nuovi mercati.

Le grandi imprese, capaci di generare annualmente elevati fatturati, ed in grado di accedere con facilità al mercato dei capitali, sono in grado di accelerare i processi di internazionalizzazione attraverso acquisizioni o acquisto di partecipazioni maggioritarie; in Italia, ad esempio, negli anni scorsi, con la soppressione dei monopoli statali, società come Eni, Enel e Telecom Italia hanno portato avanti dei massicci piani di espansione all’estero, “trasferendo” fuori dai confini nazionali le quote di mercato lasciate “libere”, sotto la supervisione dell’Antitrust, per l’ingresso sul mercato interno di nuovi operatori nei rispettivi comparti. 

Nel complesso, l’internazionalizzazione di un’impresa è uno dei passi obbligati in uno scenario di mercato caratterizzato dalla globalizzazione e dalla perdita di sovranità nei singoli Paesi per effetto della caduta del monopolio. E non a caso, la scarsa competitività del nostro sistema produttivo all’estero è strettamente legata ad un fattore che molto spesso è puramente dimensionale; essendo infatti l’Italia un Paese costituito da una miriade di piccole e medie imprese, poco sostenute sul versante dell’innovazione tecnologica e nella ricerca, la competizione con le grandi multinazionali diventa ardua e molto spesso addirittura improponibile.