Quando un’agenzia di rating abbassa il giudizio su un titolo, questo reagisce perdendo terreno, in modo più o meno consistente a seconda dell’entità del downgrade. Quando invece il rating viene alzato, la quotazione tende a non evidenziare particolari variazioni. È quanto emerge da un recente studio del Carefin, il Centre for Applied Research in Finance, dell’Università Bocconi, dal titolo: “il rating creditizio: che importanza ha?”.
Paolo Colla e Stefano Gatti (Università Bocconi) insieme a Federico Calderoni, (Banca Agrileasing) hanno analizzato la reazione del mercato a 500 cambiamenti di rating effettuati da Moody’s fra il 2002 e il 2007 su società europee.
Come è noto, le agenzie svolgono con continuità un’azione di monitoraggio sulle emittenti. Si tende a ritenere che un abbassamento di rating produca una riduzione del prezzo delle azioni, mentre il miglioramento del giudizio faccia aumentare il valore del titolo.
«Sebbene questa conclusione sia perfettamente ovvia dal punto di vista teorico – spiega Gatti – i dati disponibili per il mercato americano indicano chiaramente un comportamento asimmetrico degli investitori in azioni dopo una rating action (cioè un cambio di rating da parte di una o più agenzie)». Nel dettaglio, «i downgrades producono una significativa sotto-performance azionaria mentre nessun apprezzabile effetto si associa a rating upgrades».
La ricerca ha analizzato la letteratura americana già esistente in materia, per poi effettuare lo studio sui titoli del Vecchio Continente. Dove la situazione è risultata in linea con quanto succede oltreoceano. «Il comportamento asimmetrico degli investitori in azioni è confermato anche considerando diversi mercati azionari nazionali e diversi settori – prosegue Gatti -. In tutti i mercati europei e in tutti i settori analizzati abbiamo sistematicamente riscontrato un impatto negativo sui prezzi azionari degli annunci di downgrade, ma nessuna apprezzabile reazione quando si comunica al mercato un miglioramento del rating». La reazione è molto veloce: «nel giorno dell’annuncio, il prezzo delle azioni di un emittente con rating abbassato cade di circa l’1%» mentre i titoli non reagiscono «in presenza dell’annuncio di un rating migliore». Questa tempistica indica che il mercato non prevede i peggioramenti del giudizio, e di conseguenza reagisce prontamente quando essi vengono annunciati.
L’oscillazione è più pronunciata quando il rating viene abbassato di più di un gradino (o “notch”). Ad esempio, quando si verifica la riduzione di un notch (per ipotesi, da A+ ad A) il prezzo cala di circa l’1% nel giorno dell’annuncio, mentre la flessione aumenta all’1.5% in presenza di un downgrade di due o più notches (magari da A+ ad A-).
Da sottolineare che le reazioni, anche a un downgrade, sono meno pronunciate sul mercato britannico. La stessa cosa succede, su tutti i listini, per i titoli finanziari, come banche e assicurazioni. «Verosimilmente, questo risultato è dovuto a livelli più alti di diffusione di informazioni da parte delle istituzioni finanziarie e ad un più alto livello di standard informativi sul mercato inglese», sottolinea Gatti. Il quale conclude: «il nostro studio utilizza dati fino al 2007. Sarebbe interessante verificare se i nostri risultati rimangono validi anche dopo lo scoppio della crisi finanziaria».
L’argomento, in effetti, è molto attuale. L’esigenza di chiarezza sui mercati è uno dei temi che la crisi ha posto con maggiore urgenza. Per chi se lo fosse scordato, Lehman Brothers il giorno in cui ha chiesto l’ammissione al Chapter 11 del diritto fallimentare americano era considerata “investment grade”.