Il 2009 è stato un anno nero per il private equity: solo 51 le operazioni realizzate rispetto alle 127 dell’anno precedente: il calo riguarda sia i prezzi che la leva finanziaria. Chiuso il primo quadrimestre di quest’anno si registrano timidi segnali di ripresa, ma nel contesto di un mercato debole.
Sono queste le conclusioni del Rapporto Private Equity Monitor dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza (Varese) che sottolinea come i segnali intravisti nell’ultimo trimestre 2008 abbiano poi trovato conferma nei dodici mesi successivi. Il primo trimestre 2010 ha fatto registrare 11 nuovi investimenti rispetto ai 9 dell’ultimo trimestre del 2009: comunque sotto i 13 dello stesso periodo 2008, a riprova della debolezza del mercato.
Le tendenze. La ricerca LIUC considera soltanto le operazioni realizzate da privati e dopo le fasi di start-up, focalizzandosi sugli investimenti finalizzati alla crescita aziendale (expansion) o alla sostituzione parziale o totale del precedente azionariato da parte di investitori istituzionali (replacement, buy out e turnaround). In questi dodici mesi l’attività, secondo l’indagine, «ha cominciato a mostrare segnali di scostamento dalle tradizionali logiche d’investimento che si erano consolidate negli anni precedenti».
Innanzitutto, le tipologie d’investimento, con una netta diminuzione delle operazioni di buy-out, dal 60% del 2008 al 43% (calo di quasi un terzo). Tale flessione è stata in parte assorbita dalle operazioni di expansion (salite dal 27% al 35%), ma soprattutto dai turnaround, dal 6% al 16%; stabili invece le operazioni di replacement.
Quanto alla deal origination, ovvero la fonte degli affari, emerge da un lato la crescita delle cessioni Local (da 11 a 18 punti percentuali) e Foreign Parent (dal 4 al 10 per cento) e la riduzione delle operazioni di Secondary Buy out (dal 13 all’8 per cento): «La prima segnala la tendenza dei grandi gruppi nazionali ed esteri a cedere rami d’azienda al fine di razionalizzare le proprie strutture aziendali e far cassa per affrontare la crisi; la seconda segnala l’attuale difficoltà per gli operatori ad uscire dalle proprie partecipate attraverso la vendita ad altri investitori finanziari», spiegano i curatori dello studio.
Dove si investe. Si registra una minore concentrazione delle operazioni nel comparto dei beni di consumo ed in quello dei prodotti per l’industria (anche se quest’ultimo resta il comparto preferito dagli investitori). Tra i settori in crescita, ottima performance delle utilities (in particolare le energie rinnovabili, raddoppiate dal 6 al 12 per cento). Il 2009 registra anche una minore dimensione media delle società target (per fatturato): 32 milioni di euro rispetto ai 40 milioni dell’anno precedente. Quasi metà degli investimenti è stato realizzato in aziende con fatturato inferiore ai 30 milioni. Nonostante la crisi, le operazioni realizzate in imprese con ricavi superiori ai 300 milioni hanno toccato quota 13% dopo il 9% del 2008.