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Lavoro, il licenziamento per giustificato motivo

di Filippo Davide Martucci

16 Maggio 2018 15:40

Il giustificato motivo di licenziamento può essere oggettivo o soggettivo, cioè dipendere dall'azienda o dal lavoratore: guida alla normativa vigente e al contenzioso.

Prima ancora del Jobs Act Renzi, la Riforma Monti – Fornero ed il Pacchetto Lavoro Letta degli scorsi anni hanno modificato la disciplina dei licenziamenti (in particolare per giustificato motivo oggettivo con risarcimento e senza reintegro). Il licenziamento individuale di un lavoratore con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa (ex art. 2119 del codice civile) o giustificato motivo di cui all’art. 3, L.604/1966.

Il giustificato motivo

Il licenziamento per giustificato motivo può riguardare uno o più lavoratori (licenziamento plurimo) ma è ben diverso dal licenziamento collettivo (regolamentato dalla legge 223/1991). E’ necessario un preavviso, in base ai contratti di lavoro, in mancanza del quale il datore di lavoro dovrà pagare al lavoratore la relativa retribuzione. Il giustificato motivo oggettivo  si configura nel momento in cui esiste un’esplicita necessità dell’impresa (es.: crisi aziendale) e può riguardare ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento; il giustificato motivo soggettivo è invece legato a «un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro

=> Quando si configura il licenziamento per giusta causa

Giustificato motivo soggettivo

Il giustificato motivo soggettivo si differenzia dalla giusta causa in quanto non così grave da consentire il  licenziamento in tronco senza preavviso. Ha anch’esso una motivazione disciplinare, legata all’inadempienza del lavoratore rispetto agli obblighi contrattuali (contratto di riferimento).  Ad esempio una prolungata assenza che l’azienda dimostri di non poter sopportare, avendo necessità di affidare ad altri quelle determinate mansioni. E’ ammesso il licenziamento per superamento del periodo di comporto (l’arco temporale in cui, in caso di malattia, il lavoratore ha diritto di conservare il posto) scaduta tale finestra, a meno che lo stato di malattia non dipenda dalla violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

=> Le regole per dimissioni e licenziamenti

Giustificato motivo oggettivo

Il diritto di libertà dell’attività economica privata è sancito dall’art. 41 della Costituzione: quando il datore di lavoro ritiene che per attuare delle modifiche sia necessario licenziare un dipendente ha facoltà di farlo, ma in caso di contestazione dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo (ad esempio, il reale riassetto dell’azienda). Quindi è l’azienda ad avere l’onere della prova: deve dimostrare la sussistenza delle ragioni del licenziamento, il nesso di causalità con il recesso dal rapporto di lavoro, l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso un reparto diverse o spostarlo a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte (anche inferiori alle precedenti, se il lavoratore accetta).

In caso di ricorso, il giudice ha l’obbligo di controllare la veridicità delle ragioni addotte ma non può entrare nel merito delle scelte del datore di lavoro, ossia non può opporsi al ridimensionamento o riorganizzazione aziendale. Se in sede di contestazione il lavoratore si trovi nella possibilità di indicare mansioni che avrebbe potuto ricoprire, spetta al datore di lavoro motivare il mancato riposizionamento.

Il contenzioso

Se in seguito al ricorso del lavoratore il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore di lavoro dovrà applicare la tutela reale o quella obbligatoria. Nel primo caso sono previsti, in base all’art. 18 della legge 300/1970 (lo Statuto dei Lavoratori), il reintegro nel posto di lavoro e un risarcimento pari alla retribuzione maturata, includendo i contributi dal giorno del licenziamento a quello del reintegro, con un minimo di 5 mensilità.

Le modifiche all’articolo 18 della riforma del lavoro Monti-Fornero prevedono la possibilità di risarcimento senza reintegro nel caso in cui il licenziamento illegittimo sia avvenuto per motivi economici (giustificato motivo oggettivo), previo tentativo di conciliazione obbligatoria.

La riforma prevede anche una discrezionalità (pur limitata) del giudice sull’eventualità del reintegro anche nei casi di licenziamenti disciplinari (per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo): l’alternativa è un’indennità fra 12 e 24 mensilità.

La tutela obbligatoria è invece normata dall’art. 8 della legge 604/1966, con la riassunzione entro 3 giorni o il risarcimento attraverso un’indennità tra 2,5 e 14 mensilità prendendo come riferimento l’ultima retribuzione. Questa seconda opzione riguarda spesso le PMI, perché l’articolo 18 non si applica alle imprese sotto i 15 dipendenti.