Innovazione, le potenzialità nascoste delle PMI italiane

di Barbara Weisz

Pubblicato 21 Maggio 2014
Aggiornato 25 Settembre 2014 06:54

L'Italia non brilla per innovazione d'impresa ma le PMI sono attive quanto le grandi aziende: dati e scenari di mercato e proposta di nuovi distretti manifatturieri e digitali.

La buona notizia è che i ritardi delle imprese italiane in tema di innovazione fotografati dal Rapporto UE non rendono giustizia alla specificità del nostro sistema economico e al contributo delle PMI. Il dato negativo, però, resta: il paese del Made in Italy nelle classifiche internazionali è indietro nell’innovazione ed in Europa l’Italia è considerata un “innovatore moderato”, terzo dei quattro raggruppamenti previsti (leader, paesi che tengono il passo, paesi innovatori moederati, e infine paesi in ritardo).

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A presentare un’analisi dettagliata dello stato dell’innovazione fra le PMI italiane è il tradizionale Focus PMI 2014 di Lexjus Sinacta e Istituto Tagliacarne, giunto alla quarta edizione e dedicato quest’anno alle “Tendenze innovative della piccola e media imprenditoria italiana” con un’indagine si basa su un campione di 1.150 aziende riferita al 2013.

Innovazione PMI: profilo italiano

Il 67,6% delle PMI italiane si ritiene sufficientemente innovativa, percezione non sempre suffragata dai fatti: in realtà, ad aver introdotto innovazioni in azienda (di processo, prodotto,  organizzazione e via dicendo) è stato il 49%. I settori più innovativo? Meccanica, Elettronica, Automotive (57%), Alimentare (56,7%) Legno e Arredo (56,5%). Distanziati Chimica (46,8%) e Tessile, Abbigliamento, Pelli (43,7%). Principali innnovazioni introdotte: prodotti e servizi (45,2%), processi di produzione (29,2%), attrezzature, software o tecnologie varie (10,6%), sistemi di logistica (6%), marketing, distribuzione, tecniche manageriali, acquisto di brevetti, organizzazione del lavoro (tra 0,9 e 2,3%). Esiste poi una stretta relazione fra capacità innovativa e dimensioni aziendali:

  • tra le PMI fino a 5 addetti hanno introdotto innovazioni il 35,7%
  • tra le PMI con 6-9 addetti hanno introdotto innovazioni il 44,9%
  • tra le PMI con almeno 10 addetti hanno introdotto innovazioni il 61%

Ancor più evidenti le differenze in base al fatturato: le imprese che hanno introdotto innovazioni negli ultimi tre anni rappresentano appena il 30,4% tra quelle con giro d’affari inferiore ai 100mila euro, a fronte del 72,6% registrato tra quelle con ricavi superiori ai 2 milioni di euro. In parole semplici, si conferma che una dimensione eccessivamente ridotta e un giro d’affari limitato rappresentano un freno all’innovazione.

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Investimenti innovativi

Due indicatori importanti riguardano gli investimenti in innovazione in termini sia finanziari sia di “capitale umano”: il 25% di imprese, pur avendo introdotto innovazioni, ha investito una quota di ricavi inferiore all’1% (nell’8% non ha investito nulla); il 32% ha investito al massimo il 3%; il 20% arriva al 6%. In pratica, è intorno al 22% la quota di imprese che investe oltre il 6%, e che quindi si può definire effettivamente innovativa.

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E gli addetti che a tempo pieno si occupano di attività innovative? Tre imprese su quattro destinano una quota non superiore al 4% di addetti all’innovazione, mentre è limitata al 12% del toale la quota di aziende che destina a queste attività almeno il 10% del personale. Conclusione: l’innovazione nella stragrande maggioranza die casi non viene perseguita attraverso un investimento in capitale umano.

Scenario

Come visto, le microimprese faticano ad innovare, ma in Italia c’è un ricco tessuto di aziende di media dimensione che rappresenta un grande potenziale, anche nel confronto europeo. Se siamo indietro in tutti gli indicatori (investimenti, ricerca e sviluppo, tecnologie), è invece buono il posizionamento in termini di quota di imprese innovative: innova il 38% delle imprese italiane, contro il 35,3% di media europea. Considerando poi il solo settore manifatturiero, la percentuale sale al 56,3% sempre sopra la media UE a 27 (52,9%). E qui si inserisce la considerazione più positiva: in Italia c’è un sostanziale equilibrio tra le risorse investite in innovazione dalle PMI (49%) e dalle grandi aziende (51%), mentre nel resto d’Europa il gap con le grandi aziende è più marcato. Dunque, totale della spesa per innovazione delle imprese italiane intorno a 15,9 miliardi basso (in Germania si investono 70 miliardi) ma non se riferito alle sole PMI. Questo perché in Italia le imprese non perseguono l’innovazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, ma anche e soprattutto:

«nella possibilità di acquisire know-how e apparecchiature innovative» e «nella creatività e capacità inventiva delle PMI del territorio».

Innovazione e crescita

Qui si conferma la maggior competitività delle imprese che innovano. Le PMI più innovative registrano una crescita del fatturato nel triennio 2010-13 nel 29% dei casi, percentuale che si riduce al 15% per le aziende a media innovazione e al 5% per quelle a bassa innovazione. Lo stesso trend si osserva prendendo in considerazione il parametro dell’occupazione. Non solo: le aziende  a maggior tasso di innovazione tendono in maggior misura ad operare in sinergia con altre aziende facendo parte di reti di imprese, riportano progressi maggiori su fattori strategici per la competitività come l’aumento della capacità produttiva e un migliore utilizzo delle risorse umane. Viceversa, le imprese con un minor livello di innovazione puntano su fattori di più basso profilo: contenimento dei costi, adeguamento agli standard qualitativi internazionali, possibilità di accesso ai mercati.

Conclusioni

«La quarta edizione di Focus PMI offre un contributo importante per comprendere meglio i fattori determinanti per la crescita e la competitività delle aziende italiane piccole e medie sui mercati internazionali. L’innovazione è la chiave di volta da questo punto di vista e il dibattito di oggi conferma che le PMI, con la loro capacità di dare vita a processi innovativi trasversali e articolati, possono dare un contributo decisivo nel colmare il deficit che il nostro Paese ha accumulato nel recente passato. A patto che si offra loro sostegno nei percorsi di sviluppo tecnologico, nell’accesso al credito, nella fiscalità».

Commenta così Franco Casarano, presidente LS Lexjus Sinacta. Dunque, è necessario uno sforzo di sistema per spingere sull’innovazione: bassa tassazione, sgravi per la ricerca, premi all’innovazione, competenze high-skills, infrastrutture efficienti, distretti di eccellenza. Ma anche le imprese devono concentrarsi sulla ricetta vincente: un buon mix tra la spesa in innovazione e la capacità di attrarre talenti.

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Proposte concrete: mettere in relazione la cultura dei makers con il sistema produttivo delle PMI, del web, della ricerca scientifica e dell’arte: stanno nascendo ultimamente start-up ibride tra manifatturiero e digitale, come è testimoniato dal Festival intitolato Città-Impresa, giunto
quest’anno alla settima edizione, si sta sviluppando una nuova idea di manifatturiero che salda la cultura del fare con innovazione tecnologica, competenze digitali, design, flessibilità della produzione. Forse, conclude la ricerca all’insegna dell’attimismo, «sta nascendo una nuova idea d distretto……».