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Il senso dell’innovazione: il caso Toyota

di Paolo Di Somma

Pubblicato 12 Maggio 2008
Aggiornato 5 Marzo 2014 14:14

Le strategie più utili per innovarsi a volte vengono "da lontano", anche per le Pmi: l'importante è saperle adattare e modellare sulle proprie specifiche esigenze

Affrontare il caso del gigante Toyota su un portale dedicato alle PMI potrebbe sembrare fuori target, soprattutto per chi vive realtà quotidiane di proporzioni così diverse. Eppure, dietro alle grandi rivoluzioni organizzative e strutturali attuate dalla casa giapponese, alla metodologia Just in Time e alle filosofie di produzione snella si cela una storia fatta di scommesse, innovazioni e strategie a lungo termine.

Il sistema di produzione

In realtà, dietro questo mito c’è la storia di una piccola fabbrica di macchine da cucire…La Toyota Motor Corporation, infatti, nasce nel 1937 da una costola della Toyoda Automatic Loom Works, per volontà di Kiichiro Toyoda. Una piccola realtà imprenditoriale da cui sarebbe nato il sistema di produzione TPS (Toyota Production System), detto anche Toyotismo.Tale nuovo approccio – agli antipodi della filosofia di Henry Ford, ovvero alla produzione in serie basata sulla catena di montaggio – si basa sull’idea di fare di più con meno: utilizzare le risorse disponibili nel modo più produttivo possibile, per incrementare al massimo la produttività della fabbrica. Come? Eliminando ogni tipo di spreco che non porti cioè valore aggiunto (Muda), e procedendo “a piccoli passi”, con miglioramenti continui e sistematici.

Il metodo

Di seguito, le tipologie di spreco, la cui individuazione porta all’eliminazione del Muda:

  1. Difetti – Individuare la qualità come valore aggiunto per il cliente;
  2. Sovrapproduzione – Produzione maggiore di quella richiesta in un determinato momento, eliminata con l’introduzione della logica di produzione pull, ovvero, “facendo tirare” il flusso del valore dal cliente;
  3. Trasporti – Eliminare ogni spostamento inutile di materiali;
  4. Attese – Evitare che ci sia materiale fermo in attesa di essere impiegato;
  5. Giacenze – In generale, lo stock è sempre uno spreco;
  6. Movimenti superflui – Analizzare la logistica e le postazioni di lavoro;
  7. Operazioni inutili – Eliminare ogni operazione che non porta valore aggiunto.
    Questi principi sono universali, validi cioè non solo per la grande impresa ma anche per le piccole realtà che convivono con la necessità di imporsi in un mercato sempre più concorrenziale e di sopperire, con risorse limitate, a barriere e limiti anche strutturali.

La risposta che gli ingegneri giapponesi hanno trovato, per far fronte alla potenza, economica e produttiva, delle case americane si riassume in tre punti:

  1. Jidoka – Consiste nella ricerca della maggiore qualità possibile, con l’obiettivo di far tendere a zero la possibilità che si verifichino errori o difetti nella produzione;
  2. Just in time – Consiste nell’ottimizzazione dei tempi, in modo tale da ridurre al minimo le giacenze di magazzino con conseguente riduzione dei costi;
  3. Kaizen – Un concetto non prettamente produttivo, quanto piuttosto una vera e propria filosofia di vita, che può essere tradotto con “miglioramento continuo”.

I concetti alla base del successo della Toyota, non sono “invenzioni” degli ingegneri giapponesi: la filosofia del miglioramento continuo e dell’ottimizzazione delle strutture organizzative e produttive è nata con l’era industriale.
Negli anni ’50 le teorie organizzative utilizzate dalle principali realtà industriali erano basate sulle idee di Ford e Taylor: mentre il primo ha introdotto la catena di montaggio e la produzione di massa (focalizzando le attenzioni dell’imprenditore al prodotto e con una scarsa “attenzione” al cliente), il secondo ha introdotto l’organizzazione scientifica del lavoro, in cui si applicano metodi scientifici nello studio e nella scomposizione delle attività svolte lungo la catena di montaggio (WBS) in una sequenza di attività elementari.

La WBS permette di definire modi e tempi d’esecuzione, portando all’estrema razionalizzazione del lavoro, il quale risulta più produttivo grazie alla semplificazione delle operazioni, alla ripetizione continua della azioni e all’eliminazione dei tempi morti. La filosofia di questo sistema di gestione, parte dallo studiare energia e risorse impiegate per il raggiungimento del risultato: l’obiettivo è aumentare il rendimento del processo aumentando il lavoro utile.

Quello che ha aggiunto la Toyota è stato il vivere la fabbrica come una famiglia, capovolgendo la dicotomia dirigenza-maestranze: in casa Toyota ognuno, dal singolo operaio al direttore di stabilimento, ha il diritto/dovere di dire la sua per migliorare, attraverso le proprie competenze e capacità, anche il procedimento più “elementare”. La valorizzazione delle risorse umane, delle competenze e delle capacità, è oggi comunemente ritenuto uno dei fattori cruciali per la buona riuscita di un’attività industriale.

E cosa dire del simbolo della TPS, il Just in time? A dire il vero, il primo utilizzo di tale tecnica si fa risalire alla Ford, nel primo ventennio del ‘900, con una gestione definita “dock to factory floor”: già si cercava in pratica di abolire le scorte a magazzino.
Mentre, però, le filosofie industriali occidentali puntavano a fare quantità, i giapponesi estremizzavano questo concetto di produzione snella, facendo dipendere la produzione dalle richieste di clienti e utilizzando in fabbrica uno strumento particolare: il kanban, sistema basato sulla standardizzazione delle unità prodotte e trasportate tramite cartellini di accompagnamento, che limitano la sovrapproduzione in quanto presenti in numero definito per ogni componente.

Avvicinandoci ai giorni nostri, la casa giapponese cerca di primeggiare nelle classifiche di affidabilità e soddisfazione del cliente, grazie soprattutto ad un percorso costante di investimenti mirati e ricerca dell’innovazione. Con la metodologia del miglioramento continuo, infatti, bisogna impegnarsi nell’eliminare i processi che non creano valore aggiunto, partendo dall’analisi dei bisogni e dei desideri del consumatore. Si ha, quindi, molta attenzione verso il marketing.

Il mercato delle auto di lusso e di blasone, in primis europee, non ha concorrenti all’altezza, il marchio è un simbolo, uno status simbol: Toyota inventa Lexus. Per competere nel mercato delle micro-car senza influenzare “l’immagine” della grande T, si specializza Daihatsu ad operare in questo segmento in modo da evitare sovrapposizioni e rafforzare il senso di appartenenza al marchio. Queste operazioni di marketing strategico hanno permesso alla Toyota di dare la scalata a Ford e poi a GM, tutto ciò utilizzando le strategie che hanno reso grande la GM stessa. Negli anni ’20 Ford dominava il mercato automobilistico statunitense con una strategia mono-prodotto a basso costo (modello T). Per competere, GM sceglie di specializzare ogni brand su un segmento diverso di mercato: nasce una struttura multi-direzionale coordinata, a livello strategico, da un management centralizzato: nel 1937 GM domina il mercato dell’auto…

Nella storia della Toyota c’è ben poco di inventato, molti principi ispiratori sono stati “rubati” dalle esperienze di altre realtà industriali. Quello che ha distinto la grande T è stata la capacità di cogliere le formule giuste per rendere effettive tutte queste intuizioni. Far entrare il TPS nella vita di un’azienda, però, non è semplice e a volte può risultare controproducente. A tale riguardo Tanaka Minoru, presidente della Jmac Europe Milano, è convinto che in Europa e negli Stati Uniti il metodo Toyota non stia dando i risultati sperati perché non è applicato nella maniera corretta.

L’esperienza Toyota ci insegna che innovare significa anche guardare fuori dalle proprie mura, importare idee e concetti da chi è primo, senza mai dimenticare la nostra cultura, le nostre peculiarità, la propria identità…
L’innovazione, per le grandi come per le piccole imprese, non deve essere una chimera o un obiettivo fine a se stesso. La lettura del momento storico e la consapevolezza dei propri punti di forza e debolezze deve essere la base su cui lastricare una strada, da costruire con buon senso e tranquillità piuttosto che affidandosi a scorciatoie o a soluzione tampone.