


La Camera dei Deputati sta discutendo una proposta di legge delle opposizioni sulla settimana corta lavorativa. Il testo ha però avuto una battuta d’arresto, tornando in commissione Lavoro proprio quando avrebbe dovuto iniziare il dibattito in Aula.
La proposta non prevede una riduzione per legge dell’orario di lavoro ma promuove la stipula di contratti che vadano in questo senso. E li stimola anche attraverso misure di decontribuzione. I partiti di maggioranza non sembrano orientati a votarla, per cui sembra difficile che il testo venga approvato.
Vediamo di cosa si tratta, trattandosi di una proposta articolata, che in ogni caso deve completare l’iter parlamentare.
Settimana corta nei CCNL: proposta di 32 ore e 4 giorni
La proposta di legge favorisce la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali che comportano una progressiva riduzione dell’orario di lavoro fino a 32 ore settimanali, contro l’attuale media pari a 40 ore.
Questo dovrebbe avvenire a parità di salario, anche nella forma di turni distribuiti su quattro giorni, che siano accompagnati da investimenti nell’ambito della formazione e dell’innovazione tecnologica e ambientale.
Bonus per chi applica la settimana corta
Per tre anni dall’approvazione della legge, in base alla proposta di legge, questi contratti potrebbero prevedere un esonero contributivo pari al 30%, che salirebbe al 50% nelle piccole e medie imprese e al 60% in determinati settori che comportano lavori pesanti: industria estrattiva, edilizia, professioni sanitarie con lavoro organizzato in turni, insegnanti ed educatori di asilo, facchini, addetti ai servizi di pulizia, operatori ecologici, operai dell’agricoltura, lavoratori della siderurgia e del vetro, marittimi, conduttori di camion e mezzi pesanti, conciatori di pellicce.
La durata dell’agevolazione è stabilita dai contratti ed è proporzionale alla riduzione di orario di lavoro. Quando si esaurisce, va rideterminato l’orario di lavoro prevedendo comunque una riduzione rispetto al tempo pieno ordinariamente previsto.
Referendum aziendali per la settimana corta
Sempre in base alla proposta di legge, in mancanza di contratti nazionali che prevedano la settimana corsa, nelle imprese potrebbero essere promossi referendum per istituirli. Su richiesta delle rappresentanze sindacali territoriali e aziendali, oppure almeno del 20% dei lavoratori dipendenti.
Se in sede referendaria la maggioranza dei lavoratori si esprimesse favorevolmente, il contratto si intenderebbe approvato se con parere favorevole del datore di lavoro.
Si propone infine un Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro, per monitorare le caratteristiche e gli effetti economici della settimana corta, valutare l’efficacia dei sistemi formativi e di riqualificazione professionale e gli investimenti in nuove tecnologie messe in atto dalle imprese che applicano questi contratti.
Maggioranza e opposizione divise sulla proposta
In aula alla Camera la maggioranza ha votato contro il testo, tornato in commissione per un problema di coperture del beneficio fiscale previsto. Il presidente della commissione Lavoro, Walter Rizzetto, ha parlato di possibili effetti onerosi per la finanza pubblica nell’ordine di 8 miliardi di euro».
Al di là dell’esito che potrà avere, la proposta ha riacceso il dibattito sulla settimana corta, presente da anni nelle istituzioni e anche fra le parti sociali. Sono diverse e aziende che sperimentano la settimana corta. Ci sono paesi europei in cui sono stati fatti esperimenti su larga scala. La Spagna sta discutendo una legge per introdurla, riducendo l’orario da 40 a 37,5 ore settimanali.