Il datore di lavoro può spiare un dipendente fuori dall’ufficio, ma..

di Barbara Weisz

Pubblicato 4 Gennaio 2013
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:39

Se siete un lavoratore dipendente in permesso per cure termali, sappiate che l’azienda può spiarvi (nel senso letterale di farvi seguire da un investigatore) per verificare che siate effettivamente alle terme. E se invece siete il datore di lavoro, sappiate che se volete che l’operazione degli 007 abbia efficacia, ad esempio per licenziare eventualmente il dipendente che abbia abusato dei permessi termali, dovete rivolgervi a professionisti che sappiano fare un buon pedinamento. Le indagini condotte da detective poco attenti non vengono ritenute attendibili. Chi lo dice? La Corte di Cassazione, nientemeno (sentenza 1329 del gennaio 2013). Che ha imposto a un’azienda il reintegro di una dipendente licenziata per aver usufruito in modo scorretto di permessi rtetribuiti alle terme. Al di là  degli elementi curiosi del caso, è rilevante che i giudici abbiano ritenuto lecito il pedinamento.

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Per la precisione, la Corte ha stabilito «la legittimità  del controllo da parte di terzi della condotta del lavoratore al di fuori dello stretto ambito lavorativo, ove lo stesso sia finalizzato alla tutela dei beni estranei al rapporto stesso» (a questo proposito, ci cita anche una precedente sentenza di Cassazione, 23 febbraio 2010 n. 4375, sempre relativa al controllo a distanza).

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Molto in sintesi, l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta all’azienda di operare una qualsiasi attività  di “controllo a distanza“, all’interno dell’azienda e durante l’orario di lavoro, sulle attività  del lavoratore. Quindi, a meno che non ci siano specifiche esigenze, da considerare in base ad accordi con i sindacati o gli uffici territoriali del lavoro (ad esempio, i circuiti di sicurezza in una banca), l’azienda non può usare strumenti per “spiare” il lavoratore (telecamere o strumenti informatici).
Si può anche aggiungere che l’articolo 2 dello Statuto dei Lavoratori vieta anche il controllo da parte delle Guardie Giurate.

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Ma nel caso in esame, «i controlli erano stati effettuati sul lavoratore non in attività  lavorativa e per la tutela del patrimonio aziendale», e quindi la Cassazione li ha ritenuti legittimi.

Fin qui, il lato relativo alla corretta applicazione delle norme contenute nel titolo 1 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), “della dignità  e libertà  del lavoratore“.

Ma c’è un secondo interessante aspetto giuridico, relativo alla legittimità  del licenziamento. Che in Italia è disciplinato da specifiche normative, e va motivato (giusta causa, giustificato motivo oggettivo, giustificato motivo soggettivo), con l’onere della prova a carico dell’azienda.

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E il punto è che in realtà  i detective assoldati non erano stati particolarmente scrupolosi nel pedinamento. Gli investigatori non conoscevano bene la fisionomia della lavoratrice, si erano limitati a identificarne la mancanza dell’auto davanti alle terme in alcune giornate, peraltro senza identificare la targa. E in realtà  erano stati loro a non andare alle terme tutti i giorni compresi nel periodo contestato.

Insomma, un’indagine poco approfondita. Certo, non un valido motivo di licenziamento. Mentre invece, stabilisce la Corte, grava «sul datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento». Fra l’altro, nel caso in esame, da una parte l’azienda non ha fornito prove considerate convincenti sull’utilizzo scorretto dei permessi retribuiti, mentre dall’altra la lavoratrice aveva presentato tutta la documentazione richiesta, completa di attestazione di presenza presso il Centro firmata dal Direttore sanitario. Conclusione: licenziamento annullato, dipendente reintegrata nel posto di lavoro.

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