Lotta all’evasione fiscale: a farne le spese sono le Pmi?

di Nicola Santangelo

Pubblicato 22 Settembre 2010
Aggiornato 17 Febbraio 2012 10:21

Va bene combattere l'evasione fiscale, ma pare che in Italia essere un piccolo o medio imprenditore sia quasi una colpa!

Le nuove norme di contrasto all’evasione fiscale sono sempre più stringenti verso le imprese che, in base al decreto legge 78/2010, devono fare i conti con una serie di restrizioni, definite per colpire specifiche imprese potenzialmente inosservanti. Resta il fatto che tutte le imprese sono quindi tenute a osservare il regolamento:

  • comunicazione telematica delle operazioni Iva;
  • abbassamento a 5.000,00 euro della soglia di utilizzazione del denaro contante o titoli al portatore per le transazioni commerciali;
  • trasformazioni di avvisi di accertamento in veri e propri atti delle riscossioni attraverso la formula esecutiva.

Non finirà che le Pmi italiane verranno etichettate evasori fiscali, un marchio impresso alla fonte? Si ha la sensazione che la pluralità delle piccole e medie imprese siano considerate tali già al momento dell’apertura della partita Iva. Perché mentre in altri Paesi europei l’evasore è un’eccezione in Italia diventa quasi una regola?

A quanto pare, è talmente generalizzata che c’è addirittura bisogno di uno scudo fiscale per permettere la modifica del loro status da malus in bonis.

Ecco allora che si procede a continui incroci di dati: l’Iva con gli acquisti; il reddito con gli studi di settore; gli investimenti con la capacità produttiva e così via. Per dirla in termini popolari: un Grande Fratello dell’economia italiana in grado di indagare nel presente e nel passato delle imprese.

E se qualcosa non quadra l’impresa è chiamata a regolarizzare la propria posizione. Deve, quindi, presentare dati, prospetti e documenti che avallino, suffraghino e diano dignità ai propri valori pur di non entrare in contenzioso, pesante per tutti ma ancora di più per l’impresa. Di contro, quando occorre impegnarsi per le aziende i tempi si dilatano inesorabilmente. Prova ne è la mancata immediata nomina di un ministro per lo Sviluppo Economico.

Analizzando i dati economici degli ultimi due anni si notano grossi passi avanti nella lotta all’evasione fiscale. Ma è realmente questa la strada giusta da perseguire? Oggi si tengono d’occhio le cosiddette “imprese apri e chiudi” e quelle “con perdita sistematica” come se incapacità imprenditoriale fosse sinonimo di evasione fiscale. In molti casi, però, l’impresa è in perdita a causa di condizioni di mercato, inesperienza o incapacità dell’imprenditore!

Qualunque sia la causa della perdita sistematica – e tenuto conto dell’antieconomicità a mantenere in vita l’impresa – chiudere l’attività vuol dire avere fallito l’obiettivo, perdere una parte di se stessi, abbandonare qualcosa a cui si è creduto e per il quale si è investito. La perseveranza potrà dare benefici nel medio-lungo termine. Ecco perché, ancorché nell’immediato si abbia una perdita sistematica, nel futuro si possono ottenere brillanti risultati.

L’imprenditore perseverante non è evasore. È coraggioso e, in un certo senso, va anche apprezzato. Se nel mucchio sono presenti anche imprenditori che adottano politiche poco ortodosse se non addirittura illecite, questo è altro.

A dire la sua sullo scenario italiano è stato anche l’Economist che, in un articolo intitolato Evasive measures evidenzia come gli Italiani siano ancora inclini all’uso della moneta contante: l’anno scorso sono state eseguite soltanto 66 transazioni non-cash a persona contro una media di 170 transazioni della zona Euro.

È chiaro che, in questo contesto, l’evasione gioca il suo ruolo maggiore poiché il contante alimenta la black economy.

Ecco che l’evasione diventa una regola ed è facile trovare, continua l’articolo, idraulici che riducono il prezzo della prestazione pur di non emettere fattura, oppure proprietari di cinque Ferrari che dichiarano al Fisco mille euro al mese, proprietari di ristoranti che acquistano case da 750.000 euro e dichiarano un reddito approssimativo allo zero.

La questione dell’evasione fiscale è un argomento che interessa in qualche modo anche gli altri Paesi.

In Spagna, ad esempio, l’economia sotterranea rappresenta circa un quarto del PIL spagnolo. Una stima che ammonta a circa 234 miliardi di euro. In Spagna si assiste a quattro tipologie di frodi: le operazioni speculative sugli immobili, gli appartamenti in affitto e, guarda caso, libere professioni e piccole-medie imprese che rappresentano oltre il 95% del tessuto economico spagnolo. Soggetti a frode fiscale sono l’Iva e l’imposta sui redditi.

Il quotidiano francese Les Echos ha segnalato che prossimamente saranno avviati un migliaio di controlli anti-evasione in Francia dove, l’anno scorso, ha debuttato la regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero. I contribuenti francesi dovranno corrispondere la somma dei diritti non prescritti relativi alle imposte. Le Monde ritiene che l’informazione generata dalla registrazione elettronica delle transazioni contribuirà a lottare contro l’evasione fiscale.

In Gran Bretagna il Governo ha proposto misure restrittive contro il continuo espandersi dell’evasione fiscale e, con molta probabilità, si prenderanno provvedimenti in merito ai paradisi fiscali.

Ma torniamo in Italia: durante l’estate si è dato avvio a una delle più importanti azioni anti-evasori: di mira televendite, yacht, spiagge, pizzerie, discoteche, stabilimenti balneari, bed & breakfast e case al mare, grazie all’incrocio della banca dati INPS con quella dell’Agenzia delle Entrate. Il risultato è stato il recupero di diversi milioni di euro. Adesso, sapendo per certo che le imprese leali hanno pagato le imposte oltre che per se stesse anche per gli evasori, sarebbe corretto che le risorse recuperate con la lotta all’evasione fiscale venissero interamente restituite alle imprese sotto forma di riduzione delle tasse.