23andMe: la condivisione può essere pericolosa?

di Alessandro Vinciarelli

Pubblicato 19 Novembre 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:48

Analizzando 23andMe, Sharing and Community è il nome della funzionalità che con più preoccupazione ha attirato la mia attenzione. Le descrizione è lunga un paio di righe e, tenendo presente la fonte ufficiale, vorrei riportarla di seguito:

23andMe is the leader in giving you secure, simple options to share your genetic information with family and friends. See what you have in common and what makes you unique! You can also post stories and questions for other members of the 23andMe community.

Quello che in modo più evidente provoca sentimenti contrastanti è il termine “condivisione”. Questa parola inflazionata nasconde in sé un potenziale di rischio non indifferente. Ormai il concetto di diffusione delle informazioni presso community o gruppi ha pervaso il mondo del Web. Nessuno qualche anno fa avrebbe voluto rende disponibili a tutti immagini o filmati personali, mentre oggi nessuno vuole perdere l’occasione di creare un account su Facebook o altri siti analoghi di social networking.

Qual è allora il limite che intercorre tra informazione privata e condivisibile? Cosa ci garantisce che qualcosa che in questo momento risulta assolutamente privata non possa in un prossimo futuro essere condivisa con chiunque? Non si tratta forse solo di un limite temporale?

Per ora la proposta di 23andMe è quella di permettere la consultazione dell’analisi del nostro DNA a familiari e ad amici stretti, ma non molto lontano questa consultazione potrebbe essere più permissiva e incidere (e qui diamo spazio all’immaginazione) anche sulla nostra vita quotidiana.

Il nostro datore di lavoro potrebbe analizzare le nostre tendenze genetiche e utilizzarle durante colloqui, proposte di impiego, riunioni. Oppure il nostro assicuratore potrebbe valutare la nostra “cartella clinica naturale” alla ricerca di inclinazioni ereditarie per conferirci o meno una polizza vita. Oppure ancora la nostra banca potrebbe prendere in considerazione il nostro genoma per concederci e definire la possibile durata di un mutuo, ecc.

Speriamo che questi scenari non incontrino mai la realtà, e che l’unica condivisione possibile sia quella con il proprio medico o con la propria clinica di fiducia per valutare meglio le contromisure da mettere in campo in caso di inclinazioni genetiche.