Colpito dalla riduzione delle vendite in Giappone e Stati Uniti a causa della crisi economica globale, il lusso ha trovato la sua salvezza in Cina ed ora sta esplorando nuovi territori come la Mongolia, l’Ucraina e l’Azerbaijan, certamente molto promettenti, seppur ancora poco “glamour”.
Lo testimoniano le recenti aperture dei nuovi negozi di Louis Vuitton e Zegna, al centro della capitale mongola di Ulan Bator, a cui presto se ne aggiungeranno altri, a marchio Hugo Boss e Armani, solo per citarne alcuni.
In effetti la Mongolia, pur essendo un paese povero dell’Asia settentrionale, con una popolazione -in gran parte ancora nomade- di soli 2,7 milioni di abitanti, il cui salario medio non supera qualche centinaio di euro, vanta però ricche risorse minerarie. La recente scoperta di numerosi giacimenti sul territorio e l’ascesa al potere dell’ex primo ministro Tsakhiagiin Elbegdorj lo scorso giugno, secondo gli esperti, fanno prevedere una crescita economica del 30%.
Di conseguenza, la stessa capitale Ulan-Bator, con quasi 1 milione di abitanti (più di un terzo della popolazione), è già entrata nel mirino della business industry internazionale. Inoltre, secondo le autorità locali, il reddito pro capite per cittadino dovrebbe aumentare da 1.800 dollari nel 2008 a 15.000 nel 2015.
Così, dopo i giganti automobilistici, ecco arrivare le grandi case di lusso: prima Ermenegildo Zegna che ha aperto le danze inaugurando un suo negozio, ora Louis Vuitton, e a metà dicembre sarà il turno di Hugo Boss, che s’insedierà nel cuore del World Trade Center, sulla Peace Avenue, nel Sukh Baatar District, con Boss Black e Green Menswear e accessori. Poi seguiranno, tra gli altri, Burberry e Armani.
Yves Carcelle, presidente di Louis Vuitton, nell’annunciare con orgoglio l’apertura del nuovo store della griffe a Ulan-Bator, ha tenuto a sottolineare il concetto di viaggio e la politica pioneristica della maison, da sempre spinta costantemente verso nuove frontiere. «Fedeli ai nostri valori, abbiamo scelto di aprire il nostro 440 negozio in un momento in cui la Mongolia vive un profondo sconvolgimento economico. In passato abbiamo dimostrato la capacità di essere sempre dove bisognava essere. E la Mongolia, in questo caso, crediamo che presto entrerà a far parte del mercato, se non lo è già». Per di più, il nome del paese «porta in se l’immaginario del viaggio -ha aggiunto Carcelle- e, in parallelo, è in procinto di decollare economicamente».
Il Louis Vuitton store di Ulan-Bator, sviluppato su 490 metri quadrati, si articola su due piani e una zona VIP accessibile su invito. All’ingresso della Central Tower, la nuova boutique «incarna l’innovativo concept architettonico della casa francese, ispirandosi interamente agli elementi tradizionali della cultura nomade della Mongolia», precisa in una nota la maison, che qui vende una vasta selezione della sua collezione di valige, borse, scarpe, orologi, prêt-à-porter e accessori.
Va anche evidenziato che la Louis Vuitton, proseguendo il suo impegno nella creazione di partnership di sviluppo con le regioni del mondo dove si è insediata, in occasione dell’apertura di questo nuovo negozio, ha donato al Ministero dell’Istruzione e delle Scienze della Mongolia ben 6300 manuali scolastici, che contribuiranno al sostegno dell’educazione in più di 700 scuole primarie mongole.
D’altronde, la strategia d’espansione globale di Vuitton e dei maggiori brands del lusso si basa sulla consapevolezza che per far sì che il desiderio dei loro prodotti sia maggiore e più universale, deve raggiungere i propri clienti in tutto il mondo. Non a caso, un recente studio, ha rilevato che nel 2009 la maggior parte dei nuovi negozi di lusso sono stati aperti in paesi emergenti.
«In quei paesi, come la Mongolia e Kazakistan, che guadagnano da fonti di energia, ci sono piccole comunità di persone danarose che per le griffe rappresentano sacche di ricchezza», ha spiegato all’AFP Antoine Belge, analista finanziario specialista del lusso presso la HSBC. Quanto all’Ucraina, «il mercato del lusso è cresciuto rapidamente in base alla forte crescita economica iniziata nel 2000, e alla scarsità di beni materiali vissuta in epoca sovietica». Per Gucci Group, i cui marchi Gucci, YSL, Bottega Veneta, Balenciaga e Boucheron stanno avendo grande successo in Cina o nell’Europa dell’Est, i «mercati emergenti con profili dinamici e potenzialità economiche adeguate, offrono interessanti opportunità di crescita».
«Il lusso è una questione di disponibilità e di accesso», riassume infine Mr Belge. Pensiero condiviso anche dal presidente della divisione moda di Chanel, Bruno Pavlovsky, che ha aggiunto: «Prima dell’apertura di un nostro negozio ad Istanbul nel 2007, le donne turche facevano acquisti a Dubai a Londra o altrove. Ora, invece, hanno la possibilità di fare shopping vicino casa».
Inoltre, per Mr. Pavlovsky, la rivoluzione del web, con la conseguente diffusione globale dell’informazione, ha alimentato la domanda. «30 anni fa, il consumatore era meno informato, oggi lo è istantaneamente. Da qui l’importanza di presentare un’offerta completa nella stessa confezione dappertutto».
«Quando decidiamo di stabilirci da qualche parte lo facciamo in modo qualitativo, perché consideriamo questi paesi già maturi», ha detto all’AFP un portavoce del gruppo leader mondiale del lusso, LVMH. «Prima ci facciamo conoscere dall’élite locale, poi apriamo uno spazio in cui offriamo la stessa qualità del servizio, gli stessi prodotti e quindi gli stessi prezzi».
Si spiega così anche la scelta della celebre maison francese d’alta gioielleria Cartier, di organizzare una grande mostra di sue creazioni storiche al Cremlino, nel 2007, e l’esposizione attualmente allestita nella Città Proibita, a Pechino. Nei nuovi mercati «i nostri clienti sono appassionati alla bellezza, alle creazioni d’eccellenza e al savoir-faire. È una clientela esperta e sofisticata», ha dichiarato il CEO della griffe, Bernard Fornas.