La Russia è l’unica, fra le quattro più grandi economie emergenti del pianeta, ad aver perso terreno, superata per la prima volta dal Brasile. Nella annuale classifica della competitività del World Economic Forum il paese europeo ha perso dodici posizioni, aggiudicandosi il 63esimo posto, mentre il gigante sudamericano ne ha guadagnate otto salendo al 56esimo.
La Cina resta la potenza maggiore fra le quattro, in ventinovesima posizione, un gradino più in alto rispetto allo scorso anno, seguita dall’India, che a sua volta ha rosicchiato un punto attestandosi 49esima. La graduatoria 2009, come è noto, ha visto la Svizzera prima, gli Usa scesi al secondo posto, Singapore terza. L’Italia è 48esima. Ma focalizziamo l’attenzione sulle BRIC, Brasile, Russia, India e Cina.
Innanzitutto, il sorpasso. Il Brasile ha ridotto anche il gap con India e Cina. Fin dagli anni novanta, ha fatto passi avanti sul fronte fiscale e in materia di apertura dell’economia, spingendo i fondamentali della competitività. Ha migliorato i livelli di efficienza, cresce il mercato interno (il nono del mondo), la piazza finanziaria è fre le più avanzate della regione (a livello internazionale è 51esima), il business è sempre più diversificato, con un buon potenziale di innovazione (43esimo posto). Ma il paese deve ridurre povertà e ineguaglianze sociali. Sono bassi i punteggi per ambiente istituzionale (93esimo), stabilità macroeconomica (109esimo), efficienza del mercato del lavoro (80esimo). Sono necessari passi avanti nell’educazione, a tutti i livelli, e nella sanità.
Quanto alla Russia, i punti forti restano la dimensione del mercato e una ragionevole stabilità macroeconomica. Ma il paese deve affrontare debolezze strutturali come la percepita mancanza di efficienza istituzionale, l’inadeguatezza del funzionamento della giustizia e dei diritti di proprietà, le preoccupazioni relative ai favoritismi del governo nei rapporti con il settore privato. Anche le istituzioni private hanno voti bassi, in particolare in materia di etica aziendale.
Comunque sia, la caduta dell’indice generale di competitività è da collegare soprattutto alle più deboli valutazioni relative al funzionamento del mercato dei beni (108esimo posto) e di quello finanziario (119simo nel mondo).
E veniamo ai due colossi asiatici. La Cina con il suo ventinovesimo posto supera l’India di venti posizioni. Negli ultimi anni ha avuto un alto tasso di crescita, che non vuol far scendere sotto l’8% per prevenire ricadute occupazionali e sociali, e questo impone nuove sfide. Salendo la scala dello sviluppo, la competitività non può basarsi solo sul basso costo dei mezzi di produzione ma deve puntare sull’efficienza. I punti deboli sono la sofisticazione del mercato finanziario, 81esimo, lo sviluppo tecnologico, 79esimo, e l’educazione, 61esimo. Si registra una certa rigidità del mercato del lavoro. La Cina può contare su un ambiente di business abbastanza sofisticato, 38esimo, e sulla capacità di innovare, 26esimo. L’invidiabile situazione fiscale permette a Pechino di stimolare la domanda interna, investire in infrastrutture, promuovere riforme.
Infine l’India, che dal 1991 è cresciuta a un ritmo medio del 6,6% ma ha un pil pro capite poco sopra i mille dollari, un terzo di quello cinese e un decimo di quello russo. Resta un grande squilibrio fra il paese rurale e i centri tecnologici ed economici. L’India vanta alcune delle migliori università del mondo, ha grandi aziende che sono leader a livello globale, ma il 42% della popolazione vive con meno di 1 dollaro e 25 centesimi al giorno.
Il paese è 28esimo per sofisticazione del business e innovazione, ha istituzioni abbastanza efficienti, 54esimo, mercati finanziari avanzati, 16esimo, un buon settore bancario, 25esimo, un grande mercato domestico, quarto nel mondo. Ma ha problemi nella sanità e nell’istruzione primaria, 101esimo, nella stabilità macroeconomica, 96esima, nelle infrastrutture, 76esima, nel mercato del lavoro, 83esima, e la diffusione di telefonia mobile, Internet e PC è fra le più basse del mondo.