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Guida contratti aziendali: cessazione del rapporto di lavoro

di Nicola Santangelo

Pubblicato 19 Agosto 2011
Aggiornato 7 Marzo 2014 12:19

Guida ai contratti aziendali - capitolo 10: conclusione del rapporto di lavoro, licenziamento, controversie.

Il rapporto di lavoro può risolversi nel corso del periodo di prova o successivamente a tale periodo. Qualora sia iniziativa del lavoratore, si parla di dimissioni. In caso contrario di licenziamento. In alternativa la cessazione del rapporto di lavoro può avvenire per causa di forza maggiore come decesso del lavoratore o chiusura dell’attività.

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità.

Conclusione rapporto di lavoro

Non vi è obbligo di preavviso neppure nei casi di lavoro a tempo determinato, il cui rapporto può risolversi automaticamente allo scadere del termine previsto. In questo periodo le parti hanno i medesimi obblighi e diritti derivanti dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, che continuano a esistere fino a quando il rapporto di lavoro non cessa definitivamente. Per cui il lavoratore è tenuto ad avere disciplina, fedeltà, e diligenza nello svolgimento delle mansioni. Di contro, ha diritto a tutti i benefici attuali o che possono derivare dall’entrata in vigore di nuove norme contrattuali e legislative: aumenti di stipendio o di livello, scatti di anzianità e così via.

Dimissioni

Il lavoratore è libero di dimettersi in qualsiasi situazione. Le dimissioni rappresentano una dichiarazione unilaterale di volontà che genera i propri effetti nel momento in cui il destinatario è posto in grado di esserne a conoscenza. Non occorre, pertanto, accettazione delle dimissioni da parte del datore di lavoro. Le dimissioni sono irrevocabili. Non vi è una particolare forma per comunicare le dimissioni. Di norma è usata la forma scritta ma in molti casi le dimissioni possono essere comunicate verbalmente.

Licenziamento

Il licenziamento (come le dimissioni) è una dichiarazione unilaterale di volontà che produce i suoi effetti nel momento in cui il lavoratore è posto in condizione di poter esserne a conoscenza. E’ assolutamente vietato licenziare i dipendenti per ragioni di credo politico, fede religiosa, appartenenza a un sindacato, per la partecipazione ad uno sciopero o a causa di gravidanza, matrimonio o chiamata alle armi. Il licenziamento avvenuto per ragioni discriminatorie è nullo.

Affinché il licenziamento sia valido è necessario un giustificato motivo. Il giustificato motivo può essere soggettivo o oggettivo. Si ha giustificato motivo soggettivo quando il licenziamento è conseguenza del comportamento del lavoratore ossia notevole e reiterato inadempimento degli obblighi contrattuali. Solitamente i fatti che costituiscono giustificato motivo soggettivo sono individuabili nei contratti collettivi.

La giusta causa oggettiva non dipende dal comportamento del lavoratore ma piuttosto da motivi di natura aziendale legate al regolare funzionamento dell’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro. Il datore di lavoro deve, quindi, provare che vi sia stata soppressione del posto di lavoro del dipendente e che sussiste l’impossibilità a utilizzare il dipendente in un altro settore dell’azienda. In questo caso il datore di lavoro non è tenuto a comunicare al lavoratore le motivazioni che hanno determinato il licenziamento. Tuttavia è diritto del lavoratore chiedere le motivazioni del proprio licenziamento e, in tal caso, il datore di lavoro deve consegnarle in forma scritta.

Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato il licenziamento del lavoratore deve avvenire per giusta causa o per giustificato motivo.

Controversie

L’articolo 32 del Collegato Lavoro modifica procedura e termini per l’impugnazione di licenziamento individuale poiché lo riduce a 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione ovvero entro 60 giorni dalla comunicazione delle motivazioni.

L’impugnazione dovrà avvenire per iscritto e non sarà efficace qualora non venga seguita entro 270 giorni dal deposito del ricorso presso la cancelleria del tribunale o dalla richiesta di conciliazione e arbitrato. Qualora questi fossero respinti il ricorso al giudice andrà depositato entro 60 giorni dal rifiuto.

La conciliazione non è più obbligatoria ma vengono introdotti strumenti alternativi rispetto al ricorso al giudice del lavoro. Uno di questi è l’arbitrato. Infatti, se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale, di concerto con l’arbitro della controparte, sceglie il presidente e la sede del collegio.

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