Cosa sono i derivati finanziari: un po’ di storia

di marconotari

Pubblicato 2 Gennaio 2013
Aggiornato 13 Marzo 2020 16:34

I contratti derivati hanno origini molto remote. Per quanto il termine sia divenuto di pubblico dominio soltanto in questi anni di crisi, dopo lo ‘scandalo’ legato ai mutui sub-prime, formule abbastanza semplici di questa variegata categoria di contratti erano utilizzate già in epoca medievale e rinascimentale, soprattutto in alcune città italiane allora leader dell’economia continentale. Forme più complesse di options e futures erano adoperate quasi mezzo secolo fa, quando sulla borsa di Amsterdam tantissimi facoltosi interessati alle spedizioni delle allora Compagnie delle Indie erano soliti ricorrere a tali strumenti per assicurarsi sulle somme investite nelle imbarcazioni coinvolte, la cui costituzione patrimoniale, in effetti, ha anticipato lo schema finanziario e partecipativo delle moderne Società per azioni. Ovviamente già in quei periodi questi prodotti si prestavano a frodi, abusi e raggiri vari, tanto che nel libro Confusion de Confusiones dell’ebreo portoghese Josè Penso de la Vega, fuggito nella capitale olandese per le persecuzioni religiose subite dal suo popolo, si leggono tutta una serie di ironiche e velenose arringhe contro i fantasiosi meccanismi complessi che caratterizzavano i contratti negoziati sulla piazza di Amsterdam. Contratti che, nel 18° secolo, precisamente nel 1733, furono addirittura vietati sulla piazza di Londra a seguito di uno dei tanti scandali finanziari che hanno accompagnato la storia della City.

In epoca moderna e con l’espansione dell’economia Usa futures ed options hanno assunto sempre più importanza. Negli Stati Uniti, dove un mercato dei futures sulle merci agricole si è insediato già dagli inizi dell’Ottocento, nel 1972 ha iniziato a prendere piede un vero e proprio mercato future dei prodotti finanziari. In quell’anno, infatti, il presidente Nixon decideva l’uscita unilaterale del Paese dagli accordi di Bretton Woods ed il conseguente passaggio, di fatto, ad un regime di cambi flessibili a seguito delle grosse incertezze sull’andamento dei tassi di interesse, di inflazione e, appunto, dei tassi di cambio insite nel legame fino a quel momento vigente tra oro, dollaro e altre valute mondiali. Le difficoltà di calmierare la speculazione sul debito accumulato dalla superpotenza mondiale per mantenere la propria leadership conquistata nel secondo dopoguerra rendevano ormai l’economia Usa aggredibile da più parti proprio attraverso il cambio fisso con il dollaro sicché il passaggio al regime di cambi flessibili, da un lato, e il ricorso a strumenti di protezione come i derivati, dall’altro, sembravano poter ‘tamponare’, se non addirittura risolvere, il temutissimo crollo degli equilibri politici ed economici raggiunti fino a quel momento. Ma la crisi petrolifera dell’anno successivo amplificava ancor più l’esigenza di strumenti ‘assicurativi’ su scala globale e proprio nel 1973 esordivano le opzioni sui titoli azionari al Chicago Board Options Exchange, mercato dove oggi si trattano opzioni su azioni, obbligazioni, monete, metalli e tantissimi indici di varia natura, mentre Londra iniziava, nel contempo, il suo cammino verso la conquista della leadership del mercato dei futures.

Oggi il mercato dei derivati è diventato fondamentale e spesso è proprio attraverso l’andamento di options e futures che si elaborano previsioni di breve e medio periodo circa l’andamento dell’economia di un bene, un Paese o un’intera area economica e monetaria. Il motivo è semplice: gli operatori che muovono ingenti somme di denaro in questi mercati sono considerati depositari di informazioni privilegiate e spesso coincidono con quei grossi investitori che possono incidere sull’andamento dei prezzi del sottostante attraverso le proprie negoziazioni. Non è un caso, infatti, che ogni volta ci sia una crisi si cerchi di regolamentare in modo più deciso tali mercati e limitarne l’operatività attraverso norme restrittive o tassazioni più elevate sui profitti. La storia recente ha evidenziato, però, che non sono gli strumenti finanziari o i regimi di cambio a fare il bello o il cattivo tempo dell’economia globale ma l’utilizzo di questi in modo fuorviante e la debolezza del mondo politico verso le lobby che riescono ad insinuarsi in tutti i mercati, reali o finanziari che siano, operando ben ‘fuori dagli schemi’.