Giocando sull’espressione “costi della politica“, si potrebbe dire che per diversi esponenti del Governo Monti l’ingresso nelle istituzioni pubbliche è stato economicamente molto svantaggioso, visto quel che appare dalle schede trasparenza che i siti dei dicasteri hanno pubblicato in questi giorni sul reddito dei politici, anzi dei ministri del governo Monti.
Si potrebbe anche dire che ci sono casi di redditi da pensione molto alti. Così come si può rilevare che molti si sono posti il problema della compatibilità degli incarichi precedentemente coperti con quello attuale e hanno preso diverse decisioni anche in materia di trattamenti economici.
Sul tema, gli imprenditori italiani sono abbastanza divisi fra chi ritiene che la politica debba essere una professione esclusiva e chi invece pensa che un politico dovrebbe ridursi l’indennità in presenza di altre attività.
Mentre è decisamente maggioritario il consenso degli imprenditori intorno alla necessità di ridurre, in generale, le indennità dei politici. Lo rileva un’indagine effettuata dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza fra gli imprenditori lombardi (prima della pubblicazione dei redditi dei ministri) ed emblematicamente intitolata “La politica è una professione?”.
Come detto, la risposta vede gli imprenditori interpellati divisi a metà: il 49,3% ritiene che un politico dovrebbe svolgere il suo incarico in modo esclusivo, e percepire la relativa indennità, senza svolgere un’altra professione o attività, mentre il 50,7% dovrebbe farlo eliminando o riducendo l’indennità per il suo incarico se ha un’altra professione/attività. Dunque, un’opinione divisa quasi esattamente a metà fra il campione.
È invece più largo il consenso, al 60,6%, di coloro che vorrebbero ridurre lo stipendio dei parlamentari. Ma anche qui, fra le diverse ricette che gli imprenditori propongono per ridurre i costi della politica, quella sugli stipendi non è al primo posto, bensì sul terzo gradino del podio.
Il rimedio più gettonato è la riduzione dei parlamentari, votato dal 79,9% del campione.
Segue un’altra misura che riguarda i compensi, ma non gli stipendi, bensì i benefit, i rimborsi e la diaria dei parlamentari, che andrebbero aboliti per il 66% degli intervistati.
Poi, c’è il tanto contestato vitalizio: il 50% degli imprenditori ritiene che vadano innalzati i requisiti di età. Il 40,1% pensa che invece vadano ridotti i rimborsi elettorali ai partiti, il 21,6% è favorevole ad accorpare istituzioni ed enti con meno di 70 dipendenti, il 19% ritiene opportuno ridurre il personale assunto ad incarico, ed è infine quasi irrilevante, lo 0,4%, la percentuale di chi non è d’accordo con le misure di riduzione della politica centrale.
La prima evidenza che si può rilevare è che il tema dei costi della politica è centrale e gli imprenditori sono d’accordo su questo.
Stipendi dei ministri
Da questo punto di vista, la pubblicazione dei redditi dei ministri è un’operazione che ben si inserisce nel clima del paese e va incontro a un preciso sentimento espresso dall’opinione pubblica.
E il fatto che il governo Monti sia “tecnico” è di particolare interesse per valutare in modo equilibrato il rapporto che c’è fra redditi dei politici e redditi della classe dirigente (anche questo tema di grande attualità).
Per esempio, spicca il fatto che dalla titolare della Giustizia, Paola Severino, al collega dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, i redditi precedenti all’incarico fossero nettamente più alti di quello attuale: l’avvocato Severino nel 2011 dichiarava oltre 7 milioni di euro, l’AD di Intesa Sanpaolo Corrado Passera circa 3,5 milioni. Stesso discorso per il ministro dello Sport, Turismo e Affari Regionali, Piero Gnudi, che come commercialista nel 2011 ha dichiarato oltre 1,7 milioni di euro.
Mario Monti, che come è noto ha rinunciato a percepire gli stipendi di premier e di ministro dell’Economia, ha dichiarato nel 2011 un reddito intorno al milione e mezzo di euro.
Fra le altre dichiarazioni pesanti, quelle del viceministro Antonio Catricalà, ex presidente dell’Antitrust (740mila euro) e del titolare dei Rapporti con il Parlamento, Antonio Malaschini (707mila euro): su quest’ultimo caso si potrebbe aprire un ulteriore dibattito su pensioni e trattamenti pubblici, perché circa 500 milioni lordi del reddito sono appunto rappresentati dal trattamento come Segretario Generale in quiescenza del Senato della Repubblica (per la cronaca, ha rinunciato allo stipendio come Consigliere di Stato).
Enti locali
Questi dunque alcuni spunti offerti dall’operazione trasparenza del Governo. Ma non sono certo gli unici elementi del dibattito sui costi della politica, che nel corso degli ultimi anni ha prodotto anche altre scelte concrete, come quella relativa all’abolizione (parziale) delle province. E anche su questo l’indagine della Camera di Commercio di Monza e Brianza propone il punto di vista degli imprenditori.
L’ente locale con cui gli imprenditori si identificano maggiormente è il Comune, votato dal 65,7%, seguito dalla Regione, 25,2%, mentre solo il 9% lavora molto con la Provincia.
Sull’abolizione di eventuali altri enti con competenze provinciali gli imprenditori sono divisi: il 52,9% li abolirebbe, il 47,1% li manterrebbe, eventualmente riorganizzandoli. In un’ottica federalista, diventerebbe più importante il ruolo della Regione, 62,9%, seguito dai Comuni, 22,3%.
Infine, sulla vendita del patrimonio pubblico, un abbondante 80% è d’accordo (contro un 19,2% di contrari): le opinioni sono poi divise su come impiegare le risorse: riduzione del debito, investimenti, entrambe le cose.