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Commercio estero: export italiano made in Italy al 71%

di Barbara Weisz

Pubblicato 5 Ottobre 2023
Aggiornato 19:19

Per i prodotti italiani esportati all'estero, la filiera domestica assicura il 71% di componenti made in Italy: analisi SACE.

L’Italia non è solo il sesto paese esportatore del mondo e il secondo in Europa ma ha anche una solidità produttiva di filiera, grazie alla quale il 71% del valore aggiunto delle merci che varcano i confini è made in Italy. Lo mette in luce il rapporto SACE “Il sasso nello stagno“, dedicato alle filiere dell’export italiano.

La quota di componentistica straniera dei prodotti italiani è nettamente più bassa rispetto a quella nazionale. Solo la Germania fa meglio di noi in Europa, con numeri appena superiori, mentre le altre due grandi economie Francia e Spagna esportano beni con componenti straniere molto più elevate.

I dati sull’export italiano

In base ai dati aggiornati dell’Osservatorio economico del Ministero degli Esteri, l’Italia è il sesto paese esportatore nel mondo, con una quota a fine 2022 pari al 2,7%. A maggio 2023, era salita al 29%.

Secondo il Rapporto Export 2023 di SACE del luglio scorso, la crescita delle esportazioni di beni sarà del 6,8% a fine 2023, per un valore assoluto superiore ai 660 miliardi di euro.

L’analisi della filiera

«Il successo dell’export italiano nel mondo – rileva il nuovo studio SACE dedicato alle filiere – non è “solo” frutto del lavoro delle imprese esportatrici, bensì anche di una forte filiera domestica, composta prevalentemente da imprese di piccole e medie dimensioni, su cui gli esportatori fanno affidamento per realizzare input a grande valore aggiunto».

La catena globale del valore è comunque complessa, con i prodotti finali delle imprese che sono il risultato di vari stadi di lavorazione, anche all’estero. SACE propone l’esempio di un settore ad alta vocazione internazionale, ossia l’automotive: un’automobile esportata dalla Francia può incorporare al suo interno software tedeschi, carrozzeria italiana, cinture di sicurezza romene, fari cechi, componenti provenienti da tutto il mondo; quest’automobile risulta un prodotto francese e calcolato nell’export del paese d’Oltralpe.

Il valore aggiunto del commercio estero

SACE ha cercato di calcolare il valore aggiunto dei prodotti italiani incorporato nel commercio estero. In pratica, ha analizzato l’export sulla base di tre criteri:

  • VA domestico diretto, generato dalle imprese nazionali che fanno parte del settore del bene esportato;
  • VA domestico indiretto, derivante dalla componentistica nazionale, cioè dalle imprese che appartengono ad altri settore dell’economia ma che forniscono input al settore esportatore;
  • VA estero, ossia il valore aggiunto determinato da input alla produzione che arrivano invece dall’estero.

Il Made in Italy nell’export italiano

Applicando questi valori, risulta che il 71% del VA incorporato nelle esportazioni italiane arriva dall’economia domestica. La classifica riflette la vocazione manifatturiera dell’Italia.

Il VA domestico diretto in Germania è più alto perchè l’economia tedesca ha settori e imprese dimensionalmente più grandi (pur essendo assieme all’Italia un paese ad alto tasso di PMI, gestendo un’ampia fetta della catena del valore.

Il Valore aggiunto domestico per settori

La segmentazione per settori evidenzia valori non omogenei.

La meccanica strumentale, fra i fiori all’occhiello dell’economia italiana e primo per l’export, ha in media un VA nazionale (diretto+indiretto) al 74%, con una forte componente di valore domestico diretto. Un dato, sottolinea il report, «coerente con imprese che costruiscono macchinari complessi ad alto valore aggiunto».

Il valore domestico diretto più alto è quello del tessile-abbigliamento, «un settore verticalmente integrato grazie alla presenza in Italia di numerosi produttori di filati e tessuti di altissima qualità, di produttori di abbigliamento finito, ma anche di case di moda responsabili del design distintivo dei prodotti».

La componente di VA domestico indiretto più alta si rileva nel food and beverage, fenomeno spiegabile con una combinazione di diversi fattori: alta incidenza delle materie prime, dei servizi di distribuzione e vendita e, in misura minore, del packaging, spesso prodotto da altri settori quali metalli, vetro e plastica.

L’automotive ha una filiera più internazionale e frammentata.