PMI traino del Paese: ecco le sfide chiave

di Barbara Weisz

10 Maggio 2019 19:32

La cultura manageriale trasforma in buone pratiche e profitto le idee dell'imprenditore e l'esperienza dell'azienda: la vision e i dati di Federmanager.

«Una delle più grosse opportunità per il rilancio del Paese è rappresentata dalle PMI»: così Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento, in occasione dell’assemblea annuale 2019 di Federmanager, dedicata all’Italia “che costruisce” e alla centralità delle competenze manageriali per vincere la sfida della competitività del terzo millennio. Che è globale e passa attraverso una vision fatta di Europa, infrastrutture, digitalizzazione.

  «Un’Italia inclusiva e determinata a giocare ruolo da protagonista del mondo», sintetizza Stefano Cuzzilla, presidente dell’associazione, in un discorso d’apertura molto concentrato sul ruolo chiave delle capacità delle persone, non solo all’interno delle aziende ma anche nel Sistema Paese.

Come ha ricordato Fracarro, negli anni della crisi economica, le PMI sono le imprese che hanno dimostrato la maggiore capacità di adattamento: «hanno stupito per vitalità, capacità di reinventarsi» e «proprio questo terreno rappresentano un’opportunità di rilancio del Paese». Ma le piccole e medie imprese devono affrontare alcune sfide fondamentali: «internazionalizzare, imparare a fare rete mettendo le sinergie a fattore comune. E managerializzarsi». E’ un punto, come è facile immaginare, su cui Federmanager insiste particolarmente.

Nel corso dell’assemblea annuale, fra l’altro, è stata annunciata la firma del decreto di attuazione dei voucher per innovation manager introdotti dalla manovra 2019 e destinati proprio alle PMI.

I numeri sulla managerializzazione delle PMI sono ancora bassi, nel 70% dei casi ci si affida a esponenti della famiglia. E nei passaggi generazionali si perde un’impresa su tre. Il punto è che «l’occupazione manageriale è concentrata nelle grandi aziende».

Su questo, sono stati forniti dati precisi. Dal 2011 al 2018 il numero di manager dell’industria è sceso del 7,1%. Il calo si è interrotto nel 2018, che ha visto un ritorno alla stabilità delle competenze manageriali richieste dalle imprese.

Ma, appunto, a muoversi in questo senso sono state le aziende medie e grandi, mentre i piccoli presentano ancora numeri deficitari. «È certamente positivo aver arrestato il trend di fuoriuscita di manager dal mercato del lavoro, ma ci preoccupa che la crescita abbia riguardato la fascia di età degli over 55 e sia concentrata nel Nord Italia. Stiamo perdendo giovani talenti e, la verità, è perché all’estero li trattano meglio».

Invece, insiste Cuzzilla, «l’alleanza fra manager e imprese è una delle risposte da dare al paese», anche e soprattutto in considerazione della rivoluzione 4.0 in corso. Che è «veloce, pervasiva (tocca processi, prodotti, organizzazione), antropologica (intelligenza artificiale, rapporto uomo macchina), e selettiva.

Sulla necessità di spingere sull’acceleratore della competitività insiste anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il quale commenta positivamente i recenti decreto crescita e sblocca cantieri, avvertendo che però «sono un primo passo» ora «ce ne vogliono altri». E anche Boccia rivolge un richiamo alle imprese, che devono fare un salto «culturale e dimensionale», aprendosi al capitale e al management.

Il manager, aggiunge Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo, «trasforma l’intuizione dell’imprenditore in pratiche e azioni per rendere l’impresa innovativa e competitiva. E tutela il capitale umano».

Secondo Maurizio Casasco, presidente Confapi, l’Italia ha un patrimonio rappresentano dalla «miglior classe imprenditoriale e dai migliori lavoratori del mondo». Quindi, «ci aspettiamo anche di avere la miglior classe politica, perché ci giochiamo il nostro futuro».

Fra le richieste fondamentali emerse: abbassamento del cuneo fiscale e in genere delle tasse sulle imprese, sburocratizzazione, infrastrutture (anche digitali). Per le imprese, invece, quattro priorità: formazione, nuove regole per la rappresentanza (schemi innovativi di contrattazione), questione ambientale (sostenibilità, smart city, economia circolare).

E conclude Cuzzilla, le donne: «per risollevare il Paese basterebbe dare alla componente femminile della popolazione pari opportunità di lavoro e salario. Se impiegassimo un numero di donne pari a quello degli uomini, il PIL globale aumenterebbe del 26% e quello italiano del 15%». Il gap riguarda in particolare le posizioni di vertice: «appena il 14% dei manager italiani è donna. È stato dimostrato, invece, che le skills femminili contribuiscono a migliorare innanzitutto i risultati, ma anche clima e reputazione aziendali».