Buoni pasto in smart working, sono dovuti? Una domanda che si pongono molti lavoratori che si sono trovati ad approcciarsi con questa nuova modalità di lavoro a fronte dell’emergenza Coronavirus emergenza ad inizio anno e del conseguente lockdown. Veniamo dunque cosa dice la normativa vigente in merito all’obbligo del datore di lavoro di erogare buoni pasto ai lavoratori in smart working o lavoro agile.
Buoni pasto in smart working
A disciplinare lo smart working, ovvero il lavoro agile, è il d.lgs. 81/2017, il quale prevede che, in generale, i lavoratori agili abbiano diritto al medesimo trattamento normativo e retributivo dei colleghi in sede. Diversa la questione legata ai buono pasto, che non risultano sempre dovuti.
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Se i buoni pasto vengono erogati ai lavoratori per iniziativa autonoma dell’azienda, la modalità di erogazione e l’eventuale esclusione dei lavoratori da remoto può essere variata con un atto interno e unilaterale, senza che il lavoratore possa vantare un diritto, come chiarito recentemente dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16135/2020.
Anche se il buono pasto è previsto dal regolamento aziendale il datore di lavoro può modificare legittimamente in modo unilaterale la modalità di erogazione dei buoni pasto, ma sempre rispettando i limiti previsti nel regolamento stesso.
Se l’obbligo di erogare i buoni pasto è previsto dal proprio contratto di lavoro, ovvero se il CCNL o il contratto individuale firmato prevedono esplicitamente i buoni pasto, allora solitamente si ha diritto a ricevere tale trattamento anche qualora si lavori in modalità smart working, a meno di modifiche contrattuali che però devono essere opportunamente concordate tra le parti, eventualmente previo accordo sindacale.
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Da sottolineare però che l’orientamento della giurisprudenza delineato da diverse sentenze della Cassazione (es: nn. 20087/2008, 14290/2012, 14388/2016), riprese di recente da una sentenza del Tribunale di Venezia (n. 3463/2020), va nella direzione di negare il diritto ai buoni pasto al dipendente posto a lavorare in modalità agile (smart working), come avvenuto in moltissimi casi in questo periodo di emergenza da Covid-19, avendo lavoratore la libertà di organizzare come meglio ritiene opportuno la propria prestazione lavorativa sotto il profilo della collocazione temporale.
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L’ultima sentenza del Tribunale di Venezia riguardava il ricorso presentato dalla Federazione metropolitana della FP CGIL di Venezia contro il Comune di Venezia per aver escluso dal godimento dei buoni pasto i lavoratori in lavoro agile, durante l’emergenza sanitaria da Covid- 19, senza previa contrattazione sindacale.
I giudici hanno però affermato che l’art. 87, comma 1 del d.l. 18/2020 e del DPCM 11 marzo 2020 ha imposto alle PA il lavoro agile quale modalità ordinaria e generale per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.
Non si è trattata quindi di una decisione discrezionale dell’ente in materia di organizzazione degli uffici e pertanto non è oggetto di informativa sindacale.
In più i giudici precisano che gli artt. 45 e 46 del CCNL Regioni e Autonomie Locali 14.09.2000 dispongono che per la maturazione del buono pasto sostitutivo del servizio mensa è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto fuori dall’orario di lavoro, e che come ritenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 31137/2019, il buono pasto non è un elemento della retribuzione ma un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro per agevolare il dipendente non necessario in modalità smart working.