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Conciliazione vita lavoro, la lezione del Coronavirus

di Anna Fabi

Pubblicato 27 Maggio 2020
Aggiornato 12 Giugno 2020 07:39

Il mondo del lavoro penalizza le madri, la metà delle quali rinuncerebbe a un aumento per condizioni migliori, come congedi e smart work potenziati dal Coronavirus: survey Viking e commento di Paola Setti.

Più della metà delle lavoratrici italiane incontra ostacoli sulla carriera legati alla maternità,  fase della vita che andrebbe tutelata e valorizzata mentre invece quel che succede nella realtà è che il 53% delle donne rinuncerebbe a un aumento di stipendio per ottenere migliori condizioni, che oggi si possono ottenere potenziando congedi e smart working, ancor più dopo l’esperienza del Coronavirus, un’occasione di stimolo alle politiche di conciliazione lavoro famiglia: è quanto emerge da una ricerca promossa da Viking Italia (prodotti e servizi per l’ufficio), attraverso un sondaggio realizzato su un campione di donne tra 25 e 45 anni.

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«La fotografia è impietosa» commenta Paola Setti, giornalista e scrittrice, che sintetizza: «siamo un paese di mammoni che però non ama le mamme». Per lo meno, non le mamme che lavorano, si potrebbe aggiungere. L’autrice di “Non è un paese per mamme” prosegue, sottolineando l’impatto che questa cultura ha sulla percezione delle donne, che «per prime chiedono scusa per il disturbo: lungi dall’essere consce che il sostegno alla conciliazione è un diritto sancito dalla Costituzione, sarebbero disposte a rinunciare a un aumento di stipendio pur di ottenere condizioni migliori. Fare un figlio è ormai una mera questione di bilancio tra costi e fatiche e la natalità è ferma a un preoccupante 1.3, contro un desiderio di due figli per donna».

I dati della ricerca

  • Il 56% delle donne ha incontrato ostacoli nella vita lavorativa legati alla maternità. Di queste, il 29% ha rimandato la prospettiva di avere figli a causa delle policy o delle impressioni di un datore di lavoro e il 16% ha dichiarato di non aver avuto un figlio per paura di perdere il posto.
  • Il 17% delle lavoratrici ha subito ripercussioni sulla propria carriera dopo essere rimasta incinta e, tra queste, il 6% ha subito un licenziamento a causa di una gravidanza.
  • L’81% delle donne intervistate vorrebbe migliori politiche a sostegno della famiglia da parte del proprio datore di lavoro, incluso un congedo di paternità più lungo e maggior supporto per i neo-genitori. Su questo punto, sono d’accordo anche gli uomini: il 75% delle lavoratrici con figli e il 73% dei loro partner si esprimono a favore di un congedo di paternità più lungo di quello attuale (pari a una settimana di congedo obbligatorio retribuito per i neo-papà).
  • Solo una donna su dieci si dichiara soddisfatta dell’attuale modello di congedo parentale italiano, mentre il restante 91% vorrebbe vedere applicato un modello diverso. La maggioranza (65%) si esprime a favore del modello norvegese, che prevede 42 settimane di congedo retribuito per la madre e fino a dieci per il padre.

Strumenti post-Covid

Il Coronavirus sul fronte della conciliazione lavoro famiglia rappresenta un’occasione. Il 41% delle donne intervistate dichiara di lavorare attualmente da casa in modalità smart working, e solo il 12%  di queste lavoratrici godeva già della possibilità di lavorare da remoto prima della pandemia. ricordiamo a questo proposito che il dl Rilancio prevede il diritto allo smart working per i genitori di figli fino a 14 anni fino alla fine dell’emergenza (quindi, fino al 31 luglio).

Altri dati sulla conciliazione lavoro famiglia ai tempi del Covid 19: una donna su cinque dichiara di poter usufruire di turni e orari di lavoro flessibili e il 18% di essere in congedo retribuito. Solo il 4% afferma che il proprio datore di lavoro sta offrendo sostegno attraverso assegni familiari e/o sussidi per spese sanitarie. Sul fronte del congedo parentale, ricordiamo che anche qui c’è una novità normativa, con 30 giorni aggiuntivi (retribuiti al 50%) utilizzabili cumulativamente dai due genitori fino a quando non riapriranno le scuole.

Aver potenziato questi strumenti, sottolinea Paola Setti, «è un lato positivo di questa terribile pandemia». Non dimentichiamo la «quarantena ha pesato ancora di più sulle spalle delle mamme, che si sono ritrovate con un carico doppio sulle spalle, senza il supporto della scuola». Però «è proprio da questa emergenza che possiamo intravedere il cambiamento: ci voleva la peste per attivare lo smart working, allungare i congedi parentali, dare sostegni economici alle famiglie per le baby sitter e in sostanza metterci tutti in condizione di gestire lavoro e famiglia senza rinunciare alla carriera oppure alla genitorialità».

Fra gli strumenti su cui puntare, come detto, l’allungamento del congedo di paternità, che non solo «darebbe un aiuto alle mamme, ma garantirebbe il diritto, oggi molto precario, dei papà al loro ruolo di genitori. Senza contare che forzerebbe il cambiamento dal punto di vista culturale: ai colloqui di lavoro solo alle donne viene domandato se hanno l’intenzione di avere figli, perché si dà per scontato che saranno meno produttive nel momento in cui dovranno occuparsene, anche usufruendo del congedo obbligatorio. Se il congedo e la cura dei figli riguardassero anche i papà si ridurrebbe di molto la discriminazione di genere sui luoghi di lavoro».