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Rivalutazione pensioni alte: blocco costituzionale

di Barbara Weisz

14 Maggio 2018 16:09

Nuova pronuncia della Corte Costituzionale sul blocco rivalutazione pensioni e Decreto Poletti: perequazioni a scaglioni legittima.

La mancata rivalutazione delle pensioni superiori a sei volte il minimo è legittima: lo stabilisce la Corte Costituzionale con una sentenza che di fatto ribadisce un orientamento già precedentemente espresso. La norma in questione rispetta il necessario principio di ragionevolezza, perché davanti alla necessità di risparmi a tutela dei conti pubblici, convoglia le risorse verso le pensioni più basse, che non vengono toccate dalla misura. Si tratta dell’ordinanza 96/2018, che stabilisce quindi la legittimità costituzionale della Riforma Pensioni di fine 2011, del comma 483 della legge 147/2013 (la manovra 2014), e del Dl 65/2015, il cosiddetto decreto Poletti che, in seguito alla sentenza proprio della Corte Costituzionale sull’illegittimità del blocco dei trattamenti superiori a tre volte il minimo ha rimodulato la misura restituendo gli arretrati ai pensionati.

Il ricorso chiedeva di considerare altrettanto illegittimo il mancato adeguamento delle pensioni superiori a sei volte il minimo previsto dal combinato delle tre leggi sopra citate, lamentando una riduzione del potere d’acquisto pari al 5,78% nel biennio 2012/2013 e del 6,94% nel triennio 2012/2014.

La Corte innanzitutto ricorda di aver già ritenuto costituzionalmente corretto il decreto Poletti con la sentenza 250/2017. E ribadisce che la norma sul blocco delle pensioni il legislatore ha bilanciato, nel corretto esercizio della sua discrezionalità, le esigenze finanziarie e l’interesse dei pensionati, tutelandone il potere di acquisto attraverso l’attuazione dei principi di adeguatezza e di proporzionalità:

con la scelta non irragionevole di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all’aumentare dell’importo complessivo del trattamento pensionistico, sino a escluderla per i trattamenti superiori a sei volte il minimo INPS, destinando, così, le limitate risorse finanziarie disponibili, in via prioritaria, alle categorie di pensionati con i trattamenti più bassi.

Questa scelta legislativa di privilegiare i trattamenti pensionistici di modesto importo:

soddisfa un canone di non irragionevolezza che trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni di importo più alto rispetto agli effetti dell’inflazione.

Il blocco è stato limitato ai trattamenti di importo medio-alto:

i quali, proprio per la loro maggiore entità, presentano margini di resistenza all’erosione del potere di acquisto causata dall’inflazione, peraltro di livello piuttosto contenuto negli anni 2011 e 2012.

La Corte conclude che «è nella costante interazione tra i principi costituzionali racchiusi negli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Costituzione che si devono rinvenire i limiti alle misure di contenimento della spesa che, in mutevoli contesti economici, hanno inciso sui trattamenti pensionistici e che l’individuazione di un equilibrio tra i valori coinvolti determina la non irragionevolezza» del blocco delle pensioni superiori a sei volte il minimo.