Fisco: come difendersi dagli accertamenti

di Francesca Pietroforte

Pubblicato 23 Gennaio 2017
Aggiornato 23 Gennaio 2020 08:38

Avviso di accertamento fiscale? Ecco in quali casi è possibile contestare la notifica, ricorrere in appello o preferire le opzioni di adesione e acquiescenza.

In caso di ricezione di avviso di verifica fiscale si deve fare riferimento allo Statuto del Contribuente (Legge 212/2000) e in particolare all’art. 12, che contiene tutta una serie di indicazioni previste per tutelare i propri diritti.

Contestazione

Al comma 7 si precisa che l’avviso di accertamento non può essere emesso prima di 60 giorni dalla consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni. Il contribuente, quindi, deve per prima cosa accertarsi dell’avvenuto passaggio del termine e, in caso di mancato rispetto e di assenza di motivazioni che ne spieghino il carattere di urgenza, contestarlo. L’urgenza non può essere legata a motivi (nota dell’Agenzia 142734 del 2009), ma deve riportare motivazioni specifiche oggettive, non riconducibili a una cattiva pianificazione delle attività ma a ragioni non conoscibili né programmabili da parte dell’amministrazione finanziaria.

=> Controllo del conto corrente per l'ISEE 2020

Tipo di controlli

  • Nel caso di accertamenti collegati a controlli a tavolino si tende a non applicare l’art. 12 della L. 212/2000, e con questo anche il termine dei 60 giorni, poiché non è prevista la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni, ma la giurisprudenza recente ha più volte sostenuto che qualsiasi tipo di verbale deve rappresentare l’atto a partire dal quale considerare attiva la scadenza.
  • In presenza di notizia di reato tributario vengono raddoppiati i termini della decadenza dell’accertamento, che slitta ai fini delle imposte dirette e dell’IVA dal 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, a quello dell’ottavo anno; mentre nel caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, sale dal quarto al decimo anno.

=> Evitare liti fiscali: guida e strumenti

Acquiescenza e adesione

In seguito alla notifica di un verbale o di un accertamento il contribuente può decidere di porre in essere un contenzioso, oppure può decidere di evitarlo attraverso l’acquiescenza o l’adesione. La prima consiste in genere nell’accettazione integrale. In questo caso si può beneficiare della riduzione a oltre un terzo delle sanzioni, ulteriormente ridotte a un sesto se l’avviso non è stato preceduto dal processo verbale di chiusura delle operazioni o da un invito a un contraddittorio. Il contribuente è tenuto a pagare entro 60 giorni dalla notifica dell’atto; è anche prevista la possibilità di proseguire il contenzioso per la parte inerente alle imposte e prestare acquiescenza per le sanzioni: in questo modo si ha diritto alla decurtazione di un terzo delle sanzioni ma non di un sesto.

=> Guida alla conciliazione giudiziale con il Fisco

È possibile accedere all’acquiescenza per le sanzioni fino alla conclusione della procedura di adesione, e cioè fino alla scadenza dei 60 giorni previsti per l’impugnazione e 90 per l’adesione. Quest’ultima consiste appunto nell’aderire a uno degli atti emessi dall’amministrazione finanziaria, come il processo verbale di chiusura delle operazioni, o un invito al contraddittorio da parte dell’Agenzia delle Entrate.

L’adesione più diffusa riguarda l’accertamento fiscale: il contribuente, mediante la presentazione di un’istanza di adesione (che sospende fino a un massimo di 90 giorni il termine utile per impugnare l’atto formulato dall’amministrazione), richiede all’ufficio di presentargli una proposta, sulla base della quale si realizza una sorta di accordo tra le parti. In seguito all’accordo il contribuente è tenuto al versamento delle imposte più un terzo delle sanzioni. In caso di mancato accordo invece, il contribuente può procedere con il contenzioso, ma in questo caso vengono esclusi sconti e riduzioni su quanto dovuto.

Contenzioso

Se il contribuente decide di accedere al contenzioso, deve in primo luogo tenere presente che il ricorso esclude qualsiasi possibilità di sconto sulle sanzioni, fatta eccezione per la riduzione del 40% delle sanzioni in seguito a conciliazione giudiziale in primo grado, e che in caso di soccombenza le penalità raggiungono solitamente il 100% delle maggiori imposte confermate dalla sentenza del giudice.

Come fare ricorso

Il ricorso va presentato alla Commissione tributaria provinciale competente, in base all’ufficio finanziario che ha adottato l’atto verso cui si ricorre. È necessario indicare il nome del ricorrente, del rappresentante legale, il codice fiscale di entrambi e, in alternativa tra loro, residenza, sede legale o domicilio eletto presso lo Stato. È necessario anche inserire indirizzo PEC e numero di fax del difensore, pena la sanzione dell’aumento del 50% del contributo unificato. È obbligatorio individuare l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, dell’Ente locale o del concessionario indicato per la riscossione dei tributi contro cui si intende proporre il ricorso, il numero identificativo dell’atto contro cui si ricorre e quanto richiesto al giudice attraverso l’atto che si sta avanzando.

I motivi del ricorso devono essere esplicitati, elencando le ragioni di fatto e di diritto in grado di dimostrare l’illegittimità dell’atto posto in essere all’origine. In ultimo è necessario che il difensore sottoscriva il ricorso inserendo indicazione dell’incarico e valore della controversia, così da individuare l’ammontare del contributo unificato da versare.

Il ricorso va depositato presso la Commissione tributaria competente entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, che diventano 150 in caso di notifica con adesione e 196 in caso di sospensione di termini feriali, e va notificato alla controparte attraverso la spedizione dell’originale per posta senza busta raccomandata con ricevuta di ritorno o attraverso l’ufficiale giudiziario. Entro 30 giorni dalla notifica del ricorso va effettuata la costituzione in giudizio, depositando presso la segreteria della Commissione adita o spedendo un plico senza busta raccomandato con ricevuta di ritorno contenente una copia conforme del ricorso notificato alla controparte, una fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione e la nota di iscrizione a ruolo del ricorso tributario nel registro generale dei ricorsi.

L’appello può seguire due diversi percorsi: quello breve, che si esaurisce entro un massimo di 60 giorni calcolati a partire dal deposito della sentenza; quello lungo, che invece può durare fino a 6 mesi calcolati nel medesimo modo. In caso di percorso breve è necessario richiedere alla segreteria della commissione che l’ha emessa, copia della sentenza della Cpt e, immediatamente dopo, notificarla tramite ufficiale giudiziario, consegna diretta, o raccomandata con ricevuta di ritorno. Il termine lungo può essere interrotto esclusivamente attraverso la notifica, e non è possibile sommare il percorso breve a quello lungo.

=> Accertamento con adesione e riduzione di pena

L’atto di appello, che deve comunque riferirsi alla sentenza depositata in seguito al ricorso del contribuente, deve presentare i vizi che possano inficiare la sentenza medesima ed eventuali contraddizioni ed errori di valutazione. A questo punto vanno inserite le problematiche già fatte emergere in primo grado, che forti della prima parte in cui si sarà dimostrata l’infondatezza della sentenza precedente, potranno essere accolte. Come previsto dall’art. 53 del DLgs 546 del 1992, è necessario aggiungere anche l’indicazione della Commissione tributaria a cui è diretto, i dati dell’appellante e dei soggetti a cui l’atto è diretto, gli estremi della sentenza che si va a impugnare, una sommaria esposizione dei fatti, l’oggetto della domanda e i motivi specifici alla base dell’impugnazione della sentenza. Se anche solo una di queste indicazioni è mancante, l’appello viene definito inammissibile.

Subito dopo la redazione, il ricorso va notificato alla controparte e depositato entro 30 giorni presso la segreteria della commissione provinciale che ha emesso la sentenza (a meno che la notifica dell’atto avvenga attraverso l’ufficiale giudiziario: in questo caso non è necessario il deposito) e presso la commissione regionale competente. A sua volta chi ha ricevuto l’appello dispone di 60 giorni di tempo per costituirsi in giudizio e, se necessario, proporre un appello incidentale.

Accertamento esecutivo

È indispensabile tenere conto del fatto che, in presenza di una sentenza esecutiva l’appello non ne blocca l’esecutività. In caso di soccombenza in primo grado, il contribuente dovrà versare due terzi di quanto dovuto e, solo dopo la pronuncia della commissione regionale, la restante parte. Solo di recente la Corte Costituzionale, con la sentenza 217 del 2010, ha sottolineato che non è possibile escludere totalmente la sospensione della sentenza in appello in caso di impugnazione di fronte alla cassazione.

Se l’amministrazione finanziaria è giudicata soccombente, deve rimborsare il tributo versato in eccedenza dal contribuente entro 90 giorni dalla notifica della sentenza, come previsto dall’art. 68 del DLgs 546/1992.Se il rimborso riguarda controversie relative ad atti impositivi, di liquidazione, d’irrogazione di sanzioni e di riscossione, il rimborso ha esecuzione senza che sia necessaria la notifica o una richiesta del contribuente, come previsto dalla norma già citata.

In ogni caso, nell’eventualità dell’inerzia dell’ufficio, il contribuente può procedere a pignoramento di beni, vendita forzata, assegnazione, o giudizio di temperanza (previsto dall’art. 70 del Dlgs 546/1992). In quest’ultimo caso è necessario notiziare la commissione che ha emesso la sentenza, l’inerzia dell’ufficio incaricato del rimborso. Ciò può essere effettuato dopo 30 giorni dalla messa in mora, e solo dopo l’invio di una diffida all’Agenzia delle Entrate contenente gli estremi della sentenza e gli obblighi non onorati.