Banda larga e Pmi
Il Rapporto 2010 sulla domanda di servizi a banda larga nelle imprese italiane restituisce segnali contrastanti: secondo l’Indagine, curata dall’Osservatorio Banda Larga, gli accessi broadband da rete fissa sono oggi 13 milioni circa, dato poco brillante in termini di incremento differenziale rispetto ai precedenti valori.
Poco vivace soprattutto la domanda di banda larga delle Pmi italiane (quasi 4,5 milioni di imprese totali): un trend conservativo con investimenti ICT contenuti, anche a causa della distorta percezione del “value for money” di tali tecnologie per le singola attività.
Un cane che si morde la coda: la carenza di banda larga, motore di innovazione e crescita economica, relega le aziende ad una cultura della sussistenza informatica, bloccando lo sviluppo ma anche le ambizioni, smorzando la spesa ma anche le aspettative.
Per capirci: mentre nelle Pmi con più di 10 addetti è scontato l’utilizzo del PC e la banda larga è presente nel 60% degli ambienti di lavoro, nelle micro-imprese con meno di 10 addetti i computer sono presenti solo nel 75% e la banda larga è poco diffusa.
Piuttosto,in termini di prospettive future le aziende considerano sempre più competitiva la connessione a Internet in mobilità (smartphone o chiavetta) – trend inevitabile in un paese a infrastruttura fissa obsoleta come l’Italia – con un significativo aumento della banda per garantire una migliore customer experience durante la navigazione, comunicazione, acquisti o uso di applicativi da Web.
Dunque, Italia come sempre fanalino di coda per qualità e quantità di connessioni a banda larga: in uno studio Oxford University (Saïd Business School) sulle comunicazioni in banda larga di 72 paesi e 239 città di tutto il mondo, non solo l’Italia non figura nella classifica delle 30 migliori reti nazionali per Internet, ma nessuna città italiana avrebbe una qualità di banda sufficiente per diventare “comunità intelligente sempre connessa”.
Digital divide e investimenti
Le azioni pubbliche di contrasto al digital divide si limitano per ora ad alfabetizzazione informatica, formazione professionale e miglioramento dell’ usabilità dei servizi web. Il vero obiettivo da centrare rapidamente sarebbe invece lo sviluppo dell’infrastruttura di rete, per muovere verso la copertura totale in fibra ottica come previsto originariamente dal Piano Romani del 2009 (poi sfumato): 20 mega per tutti gli Italiani entro il 2012.
I fondi pubblici a disposizione per interventi strutturali (come noto, fino allo scorso anno quantificati in 800 milioni di euro) alla verifica di settembre 2010 risultavano appena 100 mln, da spartire con le Regioni: crisi o non crisi economica, secondo il Governo la banda larga in Italia dovrà aspettare.
Se non altro la situazione di stallo fra operatori privati si è sbloccata grazie all’accordo siglato a novembre da Telecom Italia, Vodafone, Fastweb, Wind, 3, Tiscali e BT Italia e Ministero dello Sviluppo Economico. Il memorandum d’intesa prevede la creazione di una società per le infrastrutture passive – opere civili di posa, cavi in fibra spenta, canalizzazioni per la terminazione delle fibre ottiche – e la suddivisione delle diverse attività tra tutti i gestori, che istituiranno apposito tavolo tecnico e comitato esecutivo per fissare regole e quote di investimento.
Poiché la nuova realtà giuridica andrebbe a operare solo in aree dove non operano già altri gestori in grado di proporre offerte in fibra ottica, di fatto si accantona il progetto “Fibra per l’Italia” creato a maggio 2010 da Fastweb, Wind e Vodafone, che comunque era probabilmente nato per forzare la mano di Telecom.
Resta aperta la questione del modello di business verso i consumatori finali, che probabilmente saranno gravati da costi aggiuntivi nelle “nuove e vantaggiose” tariffe TLC.
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