Retribuzione dei top manager: analisi dell’authority di Bankitalia

di Simona Tenentini

21 Maggio 2010 08:00

Il presidente dell'Autorità di vigilanza della Banca d'Italia fornisce all'Università Bocconi di Milano una relazione sulle politiche di retribuzione

Remunerazioni dei manager e degli operatori economici: un tema scottante e sempre in primo piano. Oggi ancor di più, dopo la relazione fornita all’Università Bocconi di Milano dal direttore della vigilanza della Banca d’Italia, Stefano Mieli, sulla politica di retribuzione adottata nelle banche.

Il dato è stato preso in esame sotto un duplice aspetto: quello degli operatori, ossia mercato e autorità, e quello degli osservatori, ovvero analisti ed accademici. A focalizzare ancora una volta l’attenzione su questo tema a lungo dibattuto è stata l’analisi della perdurante crisi economica: livello e modalità delle retribuzioni corrisposte ai manager sono infatti catalogate tra i principali fattori scatenanti o perlomeno aggravanti della crisi finanziaria esplosa nel 2008.

Nel resoconto stilato da Mieli la “parte del leone” la fa l’azione di verifica condotta dall’authority sulla conformità sostanziale tra la normativa nazionale e le effettive politiche e prassi di remunerazione del sistema. Nello specifico è stato chiesto ai sei maggiori gruppi bancari italiani (che rappresentano complessivamente il 60% del totale) di condurre un test di autovalutazione sulla conformità delle politiche interne agli standard elaborati dal Financial Stability Board e, nel caso, di elaborare anche degli strumenti di pianificazione e di adeguamento a tali principi.

Il quadro emerso e le relative differenze tra i vari gruppi riflettono le caratteristiche operative degli intermediari nella realtà pratica delle politiche di retribuzione. L’altro elemento importante emerso dall’analisi dei dati è che le politiche di remunerazione devono essere proporzionate alle effettive capacità di governance dei manager in modo tale da garantire un livello comunque simmetrico ai risultati economici effettivamente conseguiti.  

Il dato rilevante preso in esame anche in altri paesi è che i parametri introdotti necessitano ancora di aggiustamenti, dovuti sia all’assenza di un’esperienza di sistema che sia comune e condivisa, sia sulle modalità di comparazione tra  performance e sostenibilità. 

Nella relazione dell’authority sussistono numerosi altri aspetti di notevole interesse. Tra questi la necessità di interventi che riescano a garantire il corretto equilibrio tra la componente fissa e quella variabile e la possibilità di un eventuale differimento di una parte sostanziale della quota variabile della remunerazione.

Fermo restando, tuttavia, che le scelte da adottare nel settore delle retribuzioni e dei sistemi di incentivazione sono rimesse comunque ai singoli istituti bancari. Il loro unico onere è quello del rispetto dei principi generali della legislazione finanziaria che sono stati concepiti per un miglioramento dell’efficienza di gestione degli operatori e di conseguenza del sistema in generale.

Poiché, come chiosa Mieli: «L’ambito dell’intervento pubblico deve essere tracciato con accortezza affinché esso non si sostituisca all’imprenditore bancario nel determinare i compensi, ma fissi principi e standard idonei ad assicurare che le scelte compiute dalle banche siano coerenti con l’interesse generale».