L’Europa si presenta con la richiesta di una tassa sulle transazioni finanziarie e con buona parte degli stati membri che, contro la crisi, ha varato misure di austerity. Gli Stati Uniti invece spingono più sull’esigenza di rilanciare l’economia, obiettivo da perseguire rinviando il ritiro degli incentivi anti crisi più che tagliando i bilanci.
E le economie emergenti, Cina e Brasile in testa, a loro volta non vedono di buon occhio le misure come quella sulla tassazione sulle banche. Si apre all’insegna di notevoli divergenze sull’impostazione delle politiche economiche il doppio vertice dei grandi del fine settimana in Canada. Prima il G8 di Huntsville, sul lago Ontario, che inizia in queste ore e termina domani pomeriggio, quindi il vertice di Toronto allargato alle 20 economie più importanti del pianeta.
Fittissima l’agenda del presidente americano Barack Obama, che fra l’altro ieri, alla vigilia dell’appuntamento canadese, ha incontrato il presidente russo Dmitry Medvedev e ha espresso il suo pieno appoggio a un’eventuale ingresso di Mosca nel Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Incontri bilaterali previsti, quello con il presidente cinese Hu Jintao (i due si vedono per la prima volta dopo che la Cina ha deciso di sganciare lo yuan dal dollaro, un tema che sarà prevedilmente al centro del colloquio). Obama incontrerà anche, per la prima volta da quando è stato eletto, il neo premier britannico David Cameron.
Fra i temi macroeconomici, quello più caldo almeno alla vigilia sembra la exit strategy, su cui appunto divergono Usa ed Europa. Si può sottolineare che Obama si presenta forte del successo parlamentare della sua ricetta made in Usa, visto che proprio oggi il Senato americano ha definitivamente dato il via alla riforma della finanza. Che punta su una serie di nuove regole sui derivati, sulla separazione delle attività delle grandi banche (la cosiddetta Volcker rule), sulle autorità di regolamentazione, oltre che su maggiori protezioni per i risparmiatori.
L’Europa, invece, anche davanti alle recenti turbolenze provocate dalla crisi del debito greco, sembra intenzionata a percorrere la strada maestra del risanamento dei conti pubblici. Buona parte degli stati membri, la Grecia ma anche la Germania e la Gran Bretagna, ha recentemente messo a punto manovre di austerity anche molto pesanti (come quella inglese). Ma non è tutto. Dopo le pressanti richieste, per esempio della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Nicholas Sarkozy, l’altro ieri l’Ue ha formalmente chiesto l’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie, attraverso una lettera firmata dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e dal presidente della Commissione Josè Manuel Barroso. E c’è anche il capitolo sulla tassa sulle banche, che fra l’altro il Regno Unito con la recente manovra anti crisi ha già previsto.
Contro questa linea non ci sono solo gli Stati Uniti, ma anche la Cina, l’India, il Brasile e anche Canada, Australia, Giappone. Si tratta di paesi che hanno risentito della crisi globale, ma le cui banche non sono state coinvolte direttamente e non hanno chiesto aiuti statali. In Europa, si distingue la posizione dell’Italia, che non risulta particolarmente favorevole né alla tassa sulla finanza né ai prelievi sugli istituti di credito (fra l’altro, ieri si è espressa criticamente anche la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia). In termini molto generali si può dire che i paesi a vocazione maggiormente manifatturiera, come appunto l’Italia, in questo momento sono più interessati alla ripresa dell’economia reale e del commercio globale.