Per dirla con il direttore dell’Economist, Daniel Franklin, il 2011 sarà in primo luogo un anno che «delizierà i numerologi», specialmente l’11 novembre, ovvero l’11-11-11.
Ma, secondo quanto scrive lo stesso Franklin, «il numero protagonista sarà il 2», perchè quella dell’anno prossimo sarà la storia di due economie, con «un mondo ricco alle prese con una ripresa debole che non produce nuova occupazione», e «un mondo emergente con una crescita quattro volte più rapida».
Il magazine presenta così la 25esima edizione della raccolta annuale delle sue previsioni, “The World in 2011”, che è già disponibile in edicola. Ci sono le consuete stime dei giornalisti dell’Economist a cui si aggiungono le opinioni di personaggi del mondo dell’economia, della finanza, della politica, della cultura, dello sport.
Fra gli altri, il segretario di Stato americano Hillary Clinton, il premier britannico David Cameron,il presidente della Repubblica del Cile Sebastian Pinera, l’economista Nasim Taleb, ma anche l’atleta Usian Bolt, campione olimpico e mondiale dei 100 metri, o il direttore del British Museum Neil MacGregor.
E allora, come sarà questo 2011? Innanzitutto, la popolazione mondiale continuerà a crescere, raggiungendo i sette miliardi (ma la crescita demografica inizierà a rallentare). E la sostenibilità di un mondo sempre più popolato è una delle tematiche al centro della pubblicazione. Altri spunti di interesse: il cambiamento del ruolo dello stato, il ruolo dei super ricchi, la nascita dei “multinationimble”, ovvero i business vincenti che uniscono le dimensioni di una multinazionale alla struttura più snella delle aziende piccole.
Ogni sezione comprende anche uno speciale, chiamato «just possibly…» che ipotizza eventi che probabilmente non si verificheranno ma non si sa mai. Per esempio, «l’invenzione di un semiconduttore a temperatura ambiente, che rivoluzionerà l’elettronica e la trasmissione di energia».
Certamente il 2011, scrive Franklin, «produrrà esempi eclatanti del potere della tecnologia e dell’immaginazione nell’affrontare problemi importanti della nostra epoca, come affrancare le auto dal petrolio e prevenire la diffusione delle malattie». E ancora: «facendo previsioni da un quarto di secolo, alcune volte abbiamo avuto ragione e altre torto. Ma l’ottimismo sul progresso al centro della globalizzazione è stato un tema costante e, pensiamo, soprattutto accurato. Nonostante il persistente malessere della Grande Recessione, questo senso di progresso resterà vivo» nel corso del prossimo anno.
A proposito di stime più o meno azzeccate, sono gli stessi autori dell’Economist ad ammettere che, per esempio in relazione alle previsioni “World in 2010”, «la buona notizia è che quelle che si sono verificate sono state più numerose di quelle sbagliate», ma «la cattiva notizia è che alcune di quelle sbagliate sono stati decisamente grosse».
Tre su tutte: la politica inglese (previste la sconfitta di Brown e la vittoria di Cameron, ma non il successo dei liberal democratici di Clegg). La politica americana: correttamente pronosticato un anno difficile per Barack Obama, e attesa anche la sconfitta alla Camera dei democratici, ma sottostimata la dimensione della vittoria repubblicana e in particolare fenomeni come quello dei tea party. E L’economia internazionale: si stimava una ripresa lenta e difficoltosa, con l’ascesa dei paesi emergenti e in particolare della Cina, ma non è stata prevista la più grossa vicenda economica dell’anno, la crisi dell’euro.
Del resto, quella delle previsioni non è certo una scienza esatta. Ma all’Economist osano lo stesso, e l’edizione di quest’anno, in omaggio ai 25 anni, cerca di prevedere qualcosa anche sul prossimo quarto di secolo. Cosa succederà da qui al 2036? Lo chef Jamie Oliver si interroga su cosa mangeremo, mentre l’interrogativo proposto da Usain Bolt, ovvero l’uomo più veloce del mondo, è il seguente: ci sarà qualcuno in grado di correre i cento metri in meno di nove secondi?