Il mercato del lavoro italiano rappresenta sempre più una zavorra per la competitività del Paese. Almeno considerando i dati del Global Competitiveness Report 2011-2012 del World Economci Forum. Se infatti la Pensiola guadagna qualche posizione nella classifica generale rispetto allo scorso anno, posizionandosi al 43esimo posto (dal 48esimo che manteneva da due anni), ne perde invece altrettanti in una delle 12 categorie che compongono l’indice, quella relativa al mercato del lavoro appunto. Per questa voce siamo 123esimi nel mondo (su un totale di 139 paesi, quindi decisamente ai piani bassi della gratuatoria), contro il già negativo 118esimo posto del 2010.
Il dibattito su questo punto è surriscaldato da tempo. In questo mese di settembre, c’è stato lo sciopero generale del primo sindacato del paese, la Cgil, contro la manovra finanziaria del governo nel complesso, ma con critiche particolari proprio a una misura che riguarda il mercato del lavoro, l’articolo 8. Sul quale, invece, c’è un parere positivo della Confindustria, che rappresenta le aziende.
Un argomento che divide, insomma, così come aveva fatto discutere qualche mese fa l’sos sulla competitività del sistema Italia, concentrato particolarmente sul mercato del lavoro, dell’ad Fiat, Sergio Marchionne. Ovvero del numero uno dell’azienda che, di fatto, con gli accordi di Pomigliano e Mirafiori (firmati per parte sindacale da Cisl e Uil e non dalla Cgil), ha definitivamente inserito questa questione nell’agenda economica del paese.
Va detto che la questione è tutt’altro che risolta, dopo la ricomposizione della frattura sindacale operata dagli accordi di fine giugno, le posizioni sulla manovra finanziaria appena varata sono tornate distanti. Comunque sia, quello delle relazioni industriali, e del loro cambiamento, è un tema fondamentale di questo particolare momento economico, ed è fra i punti che ieri il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha defiito centrali nel vertice sulla crescita avuto con Confindustria e Abi.
La scarsa cooperazione fra datori di lavoro e dipendenti è uno dei fattori critici del nostro mercato del lavoro anche secondo il report del Wef (118esimo posto nel mondo). Ma non certo l’unico, anzi pesano ancora di più la scarsa flessibilità dei salari (134esimi), le pratiche di assunzione e licenziamento, 126esimi, il rapporto fra stipendio e produttività, 125esimi. Sotto il centesimo posto anche la fiducia nel management e la capacità di attirare talenti. Saliamo, si fa per dire, al 93esimo posto in termine di gender gap fra uomini e donne. Mentre abbiamo un unico punto a favore (sempre parlando di lavoro): il 20esimo posto per la voce costi ridondanti.
Dopo il lavoro, viene la finanza: lo sviluppo del nostro mercato finanziario si posizione al 97esimo posto nel mondo (però siamo risaliti dal 101esimo posto dell’anno scorso). Accessibilità dei servizi finanziari e alla possibilità di ottenere prestiti sono in questo campo i problemi maggiori.
Terza voce altamente negativa, l’ambiente macroeconomico, cioè i conti dello Stato, in cui siamo 92esimi e la voce peggiore è quella relativa al debito. Quindi, le istituzioni, 88esimi: troppa burocrazia, scarsa trasparenza della politica, giustizia civile inefficiente, scarsa fiducia nei politici, nepotismo.
Per tutto il resto, siamo fra i primi 50 paesi del mondo (tranne che nel mercato delle merci, 59esimo, soprattutto a causa della tassazione). Addirittura nella top ten per dimensioni di mercato interno (il nono del mondo), l’Italia vanta posizioni dignitose per sofistificazione del business, 26esima, sistema sanitario e di istruzione, 20esima, infrastrutture, 36esima.