World Press Photo 2012, vince la “primavera araba”

di Liliana Adamo

20 Febbraio 2012 12:00

Il fotoreporter spagnolo Samuel Aranda del New York Times, si aggiudica il primo posto nella 55esima edizione del World Press Photo.

In un nuovo classicismo iconografico – politically correct – l’immagine ripresa da Samuel Aranda, il 15 ottobre 2011, durante le proteste yemenite contro il presidente Ali Abdullah Saleh, sembra ispirarsi alla Pietà di Michelangelo: una donna completamente avvolta in un niqab nero tiene fra le braccia un giovane ferito; lo scatto è stato “rubato” all’interno di una moschea allestita da “ospedale da campo”, nella capitale Sana’a.

La grazia e la forza di questa figura avvolta in un “sudario” che la ricopre interamente, lasciandole una fessura all’altezza degli occhi e le mani inguantate di bianco, è diventata, di colpo, un’ulteriore rappresentazione “al femminile” della “primavera araba“, com’è già successo per la giovane cairota durante le proteste di piazza Tahrir, che, suo malgrado, si mostra al mondo intero inerme sotto i colpi e i calci dei militari, col suo reggiseno blu.

“La foto ritrae un momento straziante e pieno di compassione, le conseguenze umane di un evento enorme, ancora in corso…”. La nota di Aidan Sullivan, sovrintendente alla giuria, riassume la straordinarietà del momento immortalato da Aranda per il New York Times: il volto spietato della repressione e la condivisione del dolore, la cronaca degli eventi che si presentano in rapida successione e il fermo – immagine di una pietà senza tempo.

Mettendo a rischio la stessa vita dei suoi protagonisti, il fotogiornalismo di qualità ha saputo negli anni, riprodurre segmenti della storia recente in istantanee che rendono concrete le atrocità dei conflitti, esprimendo anche pura consistenza emozionale, un’umanità infinita nelle tragedie. E’ accaduto per la guerra in Vietnam e la foto simbolo di Kim Phùc e accade oggi, nei fotogrammi che testimoniano la violenta repressione verso i sostenitori della “primavera araba”, fino alla foto a colori che ritrae Chieko Matsukawa mentre mostra il diploma della figlia, ritrovato tra le macerie del terremoto in Giappone; o che Tahani, vestita di rosa, si fa riprendere (inusitato ritratto familiare), accanto al marito Majed, che ha sposato a sei anni, quando lui ne aveva venticinque.

E se nel 1968, il premio Pulitzer, Nick Ut (Associated Press), scatta quel bianco e nero – simbolo di un’epoca, con Kim Phùc, bambina vietnamita di 9 anni, ustionata dal napalm che corre nuda e piangente, subito dopo un lancio di bombe sul villaggio di Trang Bang, resta un fatto emblematico per la storia dei nostri giorni, che un fotoreporter freelance, il napoletano Pietro Masturzo, confinato nella sua stanza d’albergo a Teheran, impossibilitato dalle autorità iraniane a riprendere le proteste contro il regime di Mahmoud Ahmadinejad, abbia vinto l’edizione World Press Photo 2010 (con “Dai tetti di Teheran“), semplicemente salendo all’ultimo piano per riprendere con la fotocamera alcune donne che gridano‘Allah u Akbar’ affacciandosi dal cornicione del palazzo antistante, in dissenso al potere.