Il TAR del Lazio ha respinto con la sentenza 2159/2012 tutti e gli 8 ricorsi che erano stati presentati contro il decreto Bondi, con cui l’allora ministro dei Beni Culturali del governo Berlusconi introdusse la norma sull’equo compenso: privati e aziende dovranno pertanto pagare l’equo compenso per lettori digitali, smartphone, chiavette USB, telefoni, schede di memoria, dischi e computer.
Il tribunale amministrativo del Lazio ha dunque avallato il costo aggiuntivo su ogni dispositivo elettronico dotato di memoria per l’archiviazione dei dati, ma come tassa e non come compenso agli eventuali danni al copyright in caso di azioni di pirateria. La SIAE dovrà decidere come vanno esentati i supporti utilizzati in ambito business, ma a ogni modo ha espresso un’estrema soddisfazione per quanto deciso dal TAR nelle scorse ore, per voce di Enzo Mazza, presidente di FIMI: “Il sistema italiano che disciplina i diritti di Copia Privata è tra i migliori, se non il migliore, d’Europa perché pienamente rispettoso delle Direttive europee, dei pronunciamenti della Corte di Giustizia e del nostro Ordinamento giuridico nazionale. La norma è assolutamente bilanciata nel rispetto degli interessi degli aventi diritto, consumatori e produttori di tecnologia”.
Delusi dalla sentenza sono invece coloro che sostenevano i ricorsi, in quanto la norma sull’equo compenso spalma sul mercato intero i problemi derivanti dalle copie pirata. Solamente acquistando un dispositivo elettronico dotato di memoria si potrebbe potenzialmente utilizzarlo per conservare copie pirata di contenuti o software e dunque continuerà a gravare su di esso la tassa pari al 5% del prezzo finale di un dispositivo.
Va chiarito adesso se in ambito professionale, quell’ambito dove non si usano i dispositivi elettronici a scopo pirata, bisognerà pagare l’equo compenso. Sarà la SIAE, titolare dei diritti di riscossione dell’equo compenso, a stabilire se aziende, professionisti ed imprenditori dovranno pagare o meno.