Promozioni in azienda: risarcimento al dipendente escluso

di Barbara Weisz

Pubblicato 9 Marzo 2012
Aggiornato 21 Marzo 2012 18:54

La selezione in azienda ai fini di una promozione o altro beneficio tra i lavoratori deve essere trasparente e nota a tutti: in caso contrario, scatta il diritto al risarcimento danni per perdita di chance: la sentenza della Cassazione.

La procedura di selezione di personale in azienda a cui conferire una promozione deve essere adeguatamente comunicata a tutti i lavoratori, e quindi essere trasparente: in mancanza di tale requisito, il dipendente “escluso” che ritenga la scelta dell’azienda non adeguatamente motivata, ha diritto a un risarcimento del danno per “perdita di chance“.
Lo stabilisce la sentenza 3415 dello scorso 5 marzo della Corte di Cassazione.

La sentenza della Cassazione stabilisce, sostanzialmente, che il lavoratore ha diritto al risarcimento per mancata chance senza dover dimostrare nulla, come per esempio che la selezione sarebbe stata a suo favore.

L’azienda ha dunque l’obbligo di rispettare criteri di correttezza e buona fede, deve operare in maniera trasparente e motivare le scelte effettuate.

Obblighi del datore di lavoro

Spetta al lavoratore provare che l’azienda non abbia rispettato determinati obblighi comportamentali in materia di promozioni ma, nel momento in cui questi invece sussistono, il datore di lavoro ha a sua volta l’obbligo di provare l’effettiva conformità delle selezioni alle relative procedure, il che significa appunto che deve applicare trasparenza e motivare le scelte effettuate.

Diritti del lavoratore

In caso contrario, in linea di principio ha diritto a opporsi il lavoratore. Nel valutare il danno subito il giudice deve fare riferimento all’art. 1226 del codice civile (relativo alla valutazione equitativa del danno) e, secondo la Corte, dovrà rigettare la domanda di risarcimento quando gli elementi di prova possono far escludere con sicurezza che il lavoratore avesse una qualche probabilità di esito positivo nel processo di selezione.

Se invece queste prove non ci sono (quindi in linea teorica non si può escludere che la promozione sarebbe stata possibile), il giudice potrà valutare la probabilità di promozione ricorrendo «al criterio residuale del rapporto tra il numero dei soggetti da selezionare e il numero di quelli che concretamente dovevano formare oggetto della selezione» cioè basarsi sul rapporto tra il numero dei dipendenti promossi e quello dei dipendenti astrattamente idonei a conseguire la promozione.

Ma, prosegue la sentenza, «potrà trarre argomenti di convincimento circa il grado di probabilità favorevoli al lavoratore anche dal comportamento processuale delle parti, e in particolare dalle loro carenze nell’allegazione e prova degli elementi di fatto rilevanti ai fini della selezione rientranti nell’ambito delle loro rispettive conoscenze e possibilità dì prova».

La Suprema Corte si è pronunciata in merito a un ricorso presentato da due lavoratori contro la sentenza d’appello (che confermava quella di primo grado) che aveva rigettato le proprie ragioni contro l’azienda in cui lavoravano, in qualità di dipendenti nell’area operativa, di cui contestavano le procedure di selezione per la promozione a quadro alle quali non erano stati ammessi.

Per la precisione, i giudici di legittimità hanno stabilito che «nel caso in cui il datore di lavoro sia tenuto a effettuare nel rispetto di determinati criteri, non escludenti apprezzamenti discrezionali, una selezione tra i lavoratori ai fini di una promozione o del conferimento di un altro beneficio, egli, al fine di dimostrare il rispetto dei criteri previsti per la selezione e dei principi di correttezza e buona fede, deve operare in maniera trasparente e in particolare motivare adeguatamente la scelta effettuata».