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Demansionamento e mansioni superiori: obblighi dell’azienda

di Roberto Grementieri

Pubblicato 9 Settembre 2014
Aggiornato 3 Aprile 2019 11:36

Gli obblighi normativi cui è tenuta l'azienda nei confronti di dipendenti e lavoratori in tema di qualifica professionale e retribuzione competente.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire ai dipendenti un inquadramento professionale ed economico adeguato alle mansione che è chiamato a svolgere (articolo 2103 c.c.) senza alcuna penalizzazione nella retribuzione. Qualora al lavoratore vengano assegnate mansioni superiori, l’assegnazione diviene definitiva – se non ottenuta per semplice sostituzione di altro lavoratore assente – dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. In questo caso subentra anche il diritto al trattamento economico corrispondente.

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L’azienda deve quindi adibire il lavoratore alla mansione per cui è stato chiamato a operare corrispondenti alla categoria o livello professionale che abbia acquisito in corso di rapporto e, comunque, equivalenti o superiori alle ultime effettivamente svolte.Non ha inoltre diritto ad apportare una eventuale riduzione della retribuzione, semmai il contrario in caso di promozione a mansione superiore.

In materia di mansioni equivalenti, la Giurisprudenza ha affermato che il criterio di equivalenza non deve essere confuso con la parità di valore o con la mera affinità delle mansioni: non è sufficiente che le mansioni siano comprese nel medesimo livello contrattuale. È necessario valutare piuttosto l’equivalenza di tali mansioni con quelle precedenti, in base a contenuto, natura e modalità di esecuzione. In altre parole, le nuove mansioni devono corrispondere alla specifica competenza tecnica del dipendente, salvaguardandone il livello professionale e consentendo l’utilizzo dell’esperienza acquisita nella pregressa fase del rapporto lavorativo (Cass. civ. n. 7040/1998).

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Mansioni superiori

In materia di mansioni superiori, invece, l’articolo 2103 c.c. opera una distinzione tra “promozione definitiva” e “promozione ex lege”: la prima è stabile mentre la seconda temporanea, almeno fino a quando non sia trascorso il termine previsto dalla contrattazione collettiva (e non superiore a tre mesi) e purché l’assegnazione non sia avvenuta per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto.

Il lavoratore ha facoltà di accettare – anche implicitamente – o rifiutare la promozione definitiva, seppur favorevole (Cass. n. 5192/1994).

Il datore di lavoro può invece assegnare unilateralmente la “promozione ex lege” quando vi siano esigenze aziendali (e nel rispetto del termine massimo prescritto dalla legge) ossia la sostituzione di un superiore assente. Sono ipotesi riconducibili all’articolo 2110 c.c. (infortunio, malattia, gravidanza, puerperio) e 2111 c.c. (servizio militare), ma anche ad altri casi previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva (es.: ferie, permesso per lo svolgimento di attività sindacali, ecc.).

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L’assegnazione provvisoria può essere disposta dall’imprenditore a seguito di un provvedimento scritto, il cui contenuto non esige il nominativo del collega sostituito e i motivi della sostituzione. Peraltro, l’assegnazione di mansioni superiori mediante un provvedimento formale non è necessario, essendo sufficiente che il datore di lavoro manifesti il consenso all’espletamento delle mansioni superiori.

Può accadere anche che il datore di lavoro assegni al medesimo lavoratore mansioni superiori in più occasioni, sempre nel rispetto del limite di legge (ad esempio, al lavoratore Tizio vengono assegnati, in periodi diversi di durata inferiore a tre mesi, mansioni superiori).

Tuttavia la contrattazione collettiva può prevedere un regime più rigoroso, al fine di tutelare più efficacemente la professionalità del lavoratore contro possibili abusi del datore di lavoro.

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Non solo. Al fine di evitare l’elusione della norma, la Giurisprudenza ritiene illegittimo ricorrere al cumulo di molteplici brevi assegnazioni a mansioni superiori qualora, così facendo, il datore di lavoro voglia eludere la disciplina in parola, facendo svolgere al dipendente determinate mansioni senza riconoscere l’adeguato inquadramento professionale.

Per evitare equivoci è sempre consigliabile mantenere la retribuzione inerente le consuete mansioni del lavoratore e, proprio ad evidenziare la temporaneità delle nuove mansioni, conteggiare separatamente le differenze derivanti dalla nuova condizione.

Per garantire trasparenza occorre determinare le competenze relative alle nuove mansioni provvisoriamente assegnate, e da queste portare in detrazione la retribuzione corrispondente alle mansioni espletate ordinariamente.

Tale procedura è consigliabile anche in funzione di eventuali erogazioni ad personam (superminimo, premi etc.) che verranno conteggiate per le eventuali differenze da erogare.

L’eventuale indennità provvisoria per mansioni superiori dovrà essere conteggiata per tutto il periodo di permanenza di tale condizione e per tutte le tipologie retribuite che implicano maggiorazioni retributive.

Per quanto riguarda le mensilità aggiuntive (tredicesima, ect.), anche in questo caso, sarà necessario quantificare i ratei di maturazione, limitatamente al periodo interessato, tenendo conto dell’indennità provvisoria.
Invece, l’orientamento prevalente tende ad escludere, per quel che attiene il trattamento di fine rapporto, il maggior reddito erogato.

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Demansionamento

La legge vieta espressamente l’impiego del lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle concordate all’atto della costituzione del rapporto di lavoro.
Secondo la Cassazione, tale divieto sussiste anche nel caso di assegnazione di mansioni di pari livello che, per loro caratteristiche intrinseche, implichino una sostanziale riduzione delle competenze del lavoratore.

Si parla di demansionamento anche quando le mansioni, seppur non modificate qualitativamente, vengano ridotte quantitativamente ma solo se tale riduzione abbassa il livello delle prestazioni del lavoratore impoverendo la sua professionalità. Bisognerà quindi valutarne natura, potata e incidenza sui poteri del lavoratore e sulla sua collocazione in azienda (Cass. n. 5651/2004).

Il divieto può essere derogato soltanto se la capacità del lavoratore a svolgere determinate mansioni sia diminuita o sia a rischio il suo posto di lavoro, prevalendo in questo caso l’interesse del dipendente stesso a conservarlo.

Sono inoltre ammissibili deroghe al divieto in presenza di esigenze straordinarie, se è imposto al datore di lavoro di adibire le lavoratrici in gestazione e fino a sette mesi dopo il parto a mansioni non pregiudizievoli per la sua salute e quindi anche a mansioni inferiori, se vi siano lavoratori eccedenti che devono essere riassorbiti secondo le modalità previste nell’accordo sindacale.