Tratto dallo speciale:

Apprendistato: occasione per azienda e lavoratore

di Roberto Grementieri

7 Maggio 2010 09:00

alla luce di tutte le più recenti novità normative, facciamo il punto sul trattamento contrattuale, lavorativo, contributivo e formativo degli apprendisti in azienda

L’apprendistato è un rapporto di lavoro a prevalente contenuto formativo: a fronte di una prestazione lavorativa, l’azienda si impegna a corrispondere non solo una retribuzione economica ma anche gli insegnamenti necessari per l’ottenimento di qualifica professionale, qualificazione tecnico-professionale o titoli di studio di livello secondario e universitari, mediante percorsi di formazione interna o esterna all’azienda.

Il contratto di apprendistato – adottato da datori di lavoro appartenenti a tutti i settori di attività – deve essere obbligatoriamente stipulato in forma scritta e deve contenere come requisiti necessari: qualifica da conseguire, durata del rapporto e piano formativo individuale volto a garantire il percorso formativo dell’apprendista.

La durata è demandata alla contrattazione collettiva, in ragione del tipo di qualificazione da conseguire. Ad esempio, se il contratto di apprendistato professionalizzante viene stipulato dopo un altro contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di formazione, la durata massima di 6 anni comprende anche il periodo precedente.

L’art. 1, c. 773, legge n. 296/2006 ha modificato la disciplina previdenziale precedentemente stabilita per l’apprendistato: i contributi per apprendisti artigiani e non artigiani è stata rideterminata nel 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Per aziende fino a 9 dipendenti, l’aliquota del 10% è ridotta a 8,5% per i periodi contributivi maturati nel primo anno di contratto e 7% per quelli maturati nel secondo anno. Diversamente, si applica da subito il 10%, per tutta la durata dell’apprendistato.

Le misure agevolate per le aziende fino a 9 lavoratori trovano applicazione per tutto il primo biennio contrattuale (1,5% per i primi 12 mesi di contratto; 3% per i mesi dal 13esimo al 24esimo), a prescindere se nel frattempo intervenga il superamento della soglia limite dei 9 addetti.

La contribuzione a carico dell’apprendista è stabilita nella misura del 5,84% (IVS), per i settori diversi da quello agricolo.

Contemporaneamente, è stata estesa agli apprendisti l’indennità di malattia, secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori subordinati.

La categoria di inquadramento dell’apprendista può essere inferiore, per non più di due livelli, a quella spettante, in applicazione alla previsione del CCNL (lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto).

Gli apprendisti sono esclusi dal computo della forza lavorativa, mentre vanno ricompresi in caso di cassa integrazione.

La Finanziaria 2010 ha introdotto la possibilità per i CCNL di prevedere che la retribuzione dell’apprendista sia determinata con una progressione in percentuale, che tenga conto anche della sua anzianità lavorativa.

Il Ministero del Lavoro ha più volte affermato che l’apprendistato è una particolare tipologia contrattuale – con speciale aliquota contributiva – in cui il ridotto onere economico costituisce l’ipotesi ordinaria. Dunque, non si tratta di una fattispecie contributiva agevolata, anche se l’onere a carico del datore di lavoro è palesemente ridotto.

Gli apprendisti da assumere non possono superare il numero di lavoratori specializzati e qualificati presenti in azienda. Questi limiti non valgono per le imprese artigiane, per le quali si applicano quelli previsti dalla Legge Quadro sull’Artigianato (art. 4, legge n. 443/1985).

Sotto il profilo formativo, l’apprendista deve svolgere formazione fuori o dentro l’azienda per minimo 120 ore. Regioni e Province autonome sono tenute poi a emanare specifica regolamentazione.

Si possono utilizzare anche formazione a distanza ed eLearning; è comunque obbligatoria la presenza di un tutor qualificato. Il ruolo può essere svolto dallo stesso datore di lavoro o da un lavoratore inquadrato nella stessa qualifica (o superiore) che l’apprendista deve conseguire.

L’art. 49, c. 5ter, d.lgs. n. 276/2003 (aggiunto dal d.l. n. 112/2008) prevede la possibilità di una formazione esclusamente interna all’azienda.

Questo, solo se i contratti collettivi di lavoro individuino profili formativi e nozione di formazione aziendale, determinando durata e modalità di erogazione della formazione, modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e registrazione nel libretto formativo.

In caso di inadempimento all’obbligo formativo, esclusivamente imputabile al datore di lavoro e tale da impedire il raggiungimento della qualifica da parte dell’apprendista, l’azienda è tenuta a versare la differenza tra la contribuzione pagata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%. Detta maggiorazione esclude l’applicazione di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa contribuzione.

Le nuove disposizioni in materia di apprendistato non sono ancora pienamente operative a tutti gli effetti. Il legislatore, infatti, ha affidato alle Regioni e alle Province autonome la potestà di regolamentazione dei nuovi profili formativi.

Visto tuttavia il modesto contributo legislativo fornito dalle Regioni sulla materia, successivamente la disciplina dell’apprendistato professionalizzante è stata rimessa all’autonomia collettiva – nella forma dei contratti collettivi nazionali di categoria – stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Le forme di apprendistato introdotte dalla legge Biagi sono utilizzabili in presenza di legislazione regionale o regolamentazione contrattuale: diversamente, si dovrà fare ricorso all’apprendistato previsto dalle legge n. 196/1997.

Si osserva, tra l’altro, che la legge n. 247/2007 reca una delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino della materia: rafforzamento del ruolo della contrattazione collettiva; individuazione di standard nazionali di qualità per la formazione, nonché di meccanismi omogenei di attuazione dell’apprendistato professionalizzante, per garantirne uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale e l’adozione di misure idonee ad assicurare il corretto utilizzo dei contratti di apprendistato.

Da ultimo, va segnalato l’intervento legislativo operato sull’apprendistato attraverso le modifiche introdotte dalla legge n. 133/2008.
Si tratta di una mini-riforma tendente a realizzare un parziale affrancamento dell’istituto dalla regolamentazione regionale e a rimuovere lo stallo che è venuto a determinarsi in questi anni per varie cause.

Si segnalano, infine, le modifiche inerenti l’abolizione della durata minima dell’apprendistato professionalizzante e quelle che riguardano l’apprendistato per acquisizione di diploma o per percorsi di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca. Con particolare riguardo a tale ultima tipologia è stato previsto che, in assenza di regolamentazioni regionali, la sua attivazione sia rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con Università e istituzioni formative.