Licenziamento e repêchage: nuova stretta per le aziende

di Giuseppe Merola

5 Dicembre 2023 09:24

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repêchage: la Cassazione torna sul punto irrigidendo gli obblighi a carico delle aziende

Commento di Giuseppe Merola, giuslavorista Pirola Pennuto Zei & Associati

Sta facendo molto discutere una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 31561 del 13 novembre 2023), intervenuta in relazione all’annoso tema dell’obbligo di repêchage che il datore di lavoro è tenuto ad assolvere prima di procedere con il licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo.

In particolare, nel caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità, una lavoratrice con mansioni di cassiera in un esercizio commerciale era stata licenziata per soppressione della posizione lavorativa. Senonché, nel corso dell’istruttoria condotta dal giudice di merito era emerso che, in concomitanza con il recesso, il datore di lavoro aveva assunto altre figure professionali inquadrandole al medesimo livello contrattuale della lavoratrice licenziata.

Rispetto a tale specifico punto, il datore di lavoro si era difeso sostenendo che tali assunzioni riguardavano profili diversi da quello di cassiere, per i quali era richiesta una professionalità diversa da quella in possesso della lavoratrice licenziata.

Licenziamento per impossibile ricollocazione

Ed è in relazione a tale specifico aspetto che la Suprema Corte, dopo aver ricordato che spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale, ha precisato che la valutazione circa l’inidoneità professionale del lavoratore che si intende licenziare ad occupare un posto di lavoro diverso deve risultare da circostanze oggettivamente riscontrabili e non in base ad una valutazione meramente discrezionale del datore di lavoro.

Diversamente opinando, infatti, l’obbligo di repêchage sarebbe svuotato di ogni contenuto.

Il Giudice non può, quindi, basare il proprio giudizio sul corretto assolvimento dell’obbligo di repêchage su massime di esperienza (ad esempio sostenendo che un cassiere non possa fare il cameriere o altro), ma deve piuttosto verificare se il datore di lavoro abbia effettivamente dimostrato che il lavoratore licenziato non fosse in grado di svolgere le mansioni assegnate ai nuovi dipendenti assunti.

Adibizione anche a mansioni diverse e inferiori

Sempre ad avviso dei giudici di legittimità, tale verifica deve essere condotta partendo dal dato normativo di cui all’art. 2103 c.c. secondo cui, in caso di variazione delle mansioni del lavoratore, quest’ultimo non necessariamente deve essere adibito a mansioni professionalmente equivalenti a quelle svolte in precedenza ma a mansioni riconducibili al medesimo livello e categoria legale di inquadramento.

Inoltre, sempre la stessa norma ammette la possibilità che il dipendente possa anche essere adibito a mansioni inferiori “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore”.

In tal modo, è evidente come l’area delle mansioni che il datore di lavoro deve tenere in considerazione ai fini della ricollocazione lavorativa del dipendente in esubero sia particolarmente estesa, afferendo non solo alle mansioni analoghe a quelle da ultimo svolte ma anche tutte quelle riconducibili allo stesso livello di inquadramento e persino a quelle inferiori.

Si tratta quindi di un onere particolarmente rigoroso e delicato che, se non correttamente assolto, può portare all’illegittimità del licenziamento intimato.

I diritti del datore di lavoro

Non si tratta, però, di un onere illimitato. Come più volte affermato dalla giurisprudenza e come anche emerge dall’ordinanza in questione, al datore di lavoro non può essere imposto di assegnare al dipendente mansioni che, ancorché rientranti nel medesimo livello di inquadramento, risultino incompatibili con la professionalità dallo stesso acquisita.

Diversamente, infatti, il lavoratore si ritroverebbe a ricoprire un ruolo che non è in grado di svolgere. Né, sotto altro profilo, al datore di lavoro può essere imposto un obbligo di formazione del lavoratore finalizzato alla sua ricollocazione lavorativa nell’organizzazione aziendale, che in taluni casi potrebbe anche rivelarsi inattuabile.

Conclusioni

A voler tirare le somme, si può quindi concludere, anche sulla scorta dei principi espressi dalla pronuncia in commento, che l’obbligo di repêchage costituisce la vera insidia a cui il datore di lavoro deve prestare attenzione nel momento in cui si accinge ad effettuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La soppressione del posto di lavoro, anche se dimostrata, rischia infatti di diventare un elemento del tutto irrilevante ai fini della legittimità del licenziamento se non accompagnata dall’allegazione e prova di puntuali circostanze idonee a supportare l’incollocabilità del dipendente licenziato nell’organizzazione aziendale.