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Contributo ASPI per imprese: i datori di lavoro esclusi

di Francesca Vinciarelli

Pubblicato 8 Febbraio 2013
Aggiornato 29 Settembre 2014 07:11

Il Ministero del Lavoro chiarisce i casi di non applicabilità del contributo ASPI per i casi di licenziamento da parte dei datori di lavoro, confermando l'obbligo per tutte le imprese.

Il contributo obbligatorio ASPI – la nuova assicurazione per l’impiego che ha preso il posto dell’indennità di disoccupazione, introdotta dalla Riforma del Lavoro (Legge 92/2012) – riguarda le sole imprese e non tutti i datori di lavoro: in caso di licenziamento di collaboratori domestici, per esempio, non è dovuto.

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A chiarirlo è il Ministero del Lavoro, che specifica l’inapplicabilità della tassa di licenziamento nel caso in cui i datori di lavoro siano famiglie che assumono collaboratori domestici, diversamente da quanto sembrava fino a poche settimane fa. Il contrordine è frutto del confronto tra tecnici del Ministero e sindacati.

Il dubbio nasceva dall’applicazione del versamento della nuova tassa all’INPS: il contributo prevede un versamento la cui somma viene calcolata in modo indipendente dalle ore di lavoro effettivamente previste dal contratto.

Questo significa che per un collaboratore domestico (colf, badanti o tate…) che lavora solo poche ora a settimana il datore di lavoro avrebbe dovuto versare la stessa cifra delle imprese con dipendenti impiegati per 40 ore settimanali.

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L’INPS proponeva un decreto ad hoc per modificare la norma (cosa impossibile sotto elezioni). Il Ministero ha preferito chiarire semplicemente che i datori di lavoro che licenziano collaboratori domestici sono esonerati dal contributo ASPI.

Ricordiamo che l’introduzione di ASPI e Mini-ASPI fa parte dei nuovi ammortizzatori sociali entrati in vigore da gennaio 2013, per mezzo dei quali vengono riformate le tutele per i lavoratori, compresi i giovani precari.

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In caso di contratto a tempo indeterminato la tassa dovuta da parte del datore di lavoro che licenzia è pari al 41% del massimale mensile ASPI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, come previsto dall’articolo 2 comma 31 della Riforma del Lavoro Fornero.

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Da precisare che la tassa va pagata solo in caso di licenziamento, non è dovuta invece per le dimissioni del lavoratore o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.