Myspace fa male ai dipendenti. Anzi, no.

di Paolo Iasevoli

25 Maggio 2007 10:17

Le aziende devono proibire ai propri dipendenti l'accesso ai siti come Myspace o YouTube? Se lo chiedono 2 diversi studi di Barracuda e Sophos, evidenziandone pro e contro

Internet è ormai irrinunciabile per quasi tutte le imprese del mondo, ma è opportuno restringere la libertà di navigazione dei dipendenti bloccando l’accesso a siti non strettamente legati all’attività lavorativa?

Barracuda e Sophos hanno cercato di dare una risposta a un quesito sempre più assillante per le aziende d’Oltreoceano, che sta diventando impellente anche in Italia, considerato il numero di lavoratori che usa internet dal proprio ufficio.

Le cause che spingono le aziende a filtrare siti come Myspace, YouTube e altri social network sono essenzialmente 3. Al primo posto c’è il rischio che i propri dipendenti si dedichino ad attività illecite come il gioco d’azzardo o, peggio, la pedo-pornografia, coinvolgendo legalmente l’intera azienda. A questo si affianca il pericolo di fuga di informazioni riservate che potrebbero essere “spifferate” su forum e chat.

Al secondo posto, la possibilità di infezione o di truffe online. Oltre ai virus che potrebbero diffondersi in tutta la rete aziendale, è particolarmente sentito il problema del phishing, sempre più spesso perpretato non solo via email ma anche sui social network.

Infine, le imprese sono preoccupate per il calo di produttività che deriverebbe da dipendenti impegnati a scambiare mesaggi su Myspace piuttosto che a lavorare. Tuttavia, metà del campione intervistato da Sophos è in disaccordo con questa visione. Secondo i favorevoli, la produttività deriva da una buona gestione del proprio tempo e dalla varietà di informazioni a disposizione: quindi “censurare” parte della Rete sarebbe addirittura controproducente.

Non solo i lavoratori sono per la libertà di navigazione, ma anche un’inaspettata parte di dirigenti. Le motivazioni sono però totalmente differenti. Molti manager decidono di non bloccare questi siti perché l’attività richiederebbe uno sforzo eccessivo e causerebbe malcontento tra i dipendenti, che perderebbero tempo prezioso a cercare di aggirare le restrizioni.