La spesa per le prestazioni sociali in Italia è superiore alla media europea, pari al 28,3% del PIL contro il 26,9% della media UE, tuttavia è orientata alla previdenza, mentre ad essere penalizzati sono le politiche del lavoro: solo lo 0,2% del PIL, infatti, è destinato ai servizi e alle misure di attivazione per i disoccupati. In pratica, la spesa sociale in capitale umano, servizi di cura e politiche del lavoro è penalizzata dai maggiori costi per le pensioni.
Lo ha sottolineato nei giorni scorsi l’INAPP nel corso del convegno “Lavoro, welfare e sicurezza sociale: le nuove sfide”, durante il quale è emerso che l’area di intervento relativa alle pensioni (vecchiaia e ai superstiti) copre il 58,3% della spesa sociale, seguita da “malattia/salute e invalidità” (28,6%), “famiglia/figli” (3,9%), “disoccupazione” (5,7%) e “contrasto alla povertà ed esclusione sociale” (3,5%).
Se da un lato alcune misure hanno limitato attutito gli effetti della pandemia sulle disuguaglianze e sul rischio povertà, dall’altro lato resta bassa la spesa per quanto riguarda sia la presa in carico socioassistenziale sia l’attivazione per l’inserimento lavorativo.
Focalizzando l’attenzione sul mercato del lavoro, in particolare, si assiste a una bassa partecipazione femminile e a un basso livello dell’occupazione a più alto valore aggiunto. A crescere, inoltre, è il lavoro ‘fragile’, vale a dire un’occupazione insicura e mal retribuita.
Per molti aspetti l’Italia sembra un paese che resta indietro anche rispetto alla nuova agenda di investimento sociale dettata a livello europeo – ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP -. Da questa linea non si discostano le trasformazioni che negli ultimi anni hanno dato luogo a interventi di grande rilievo, a cominciare dal contrasto della povertà.
Come sottolinea Fadda, l’introduzione del REI e del Reddito di Cittadinanza ha rappresentato una novità nel welfare italiano, rappresentando una misura nazionale di contrasto alla povertà di dimensioni simili a quelle dei principali paesi europei. Allo stesso tempo, tuttavia, occorre una netta spinta verso la ricomposizione della spesa sociale a favore dei servizi (scuola e formazione, sanità, servizi di cura e di assistenza, politiche attive del lavoro) per favorire un accesso universale alla protezione sociale e una diminuzione delle diseguaglianze.