Pmi italiane: costi energia, +42% della media Ue. Meno tasse e investimenti nelle rinnovabili

di Noemi Ricci

Pubblicato 5 Marzo 2009
Aggiornato 10 Novembre 2011 11:03

Le Pmi italiane pagano per l'energia il 42% in più della media Ue: Confartigianato chiede interventi per ridurre gli oneri fiscali per le microimprese e investimenti nelle energie rinnovabili

Costa cara l’energia elettrica per le piccole e medie imprese italiane: ben il 42% in più rispetto alla media degli altri Paesi Ue. Colpa del Fisco in bolletta .

La denuncia arriva dal presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini, nel corso dell’audizione in Commissione Industria al Senato sulla dinamica dei prezzi della filiera dei prodotti petroliferi.

Un dato allarmante soprattutto alla luce del recente calo del prezzo del petrolio (- 62,1%) tra luglio e dicembre 2008, a cui è però corrisposto un aumento del 6,5% dell’indice dei prezzi alla produzione di energia elettrica e gas. Soltanto nei primi tre mesi del 2009, infatti, si è assistito ad una riduzione del 12,1%.

A contribuire sarebbero, secondo Guerini, imposta erariale e addizionale provinciale sull’energia, che portano ad un onere per le Pmi (con meno di 10 dipendenti) pari al 27,1% in più rispetto rispetto alle aziende di dimensioni maggiori (con più di 50 dipendenti.

Sarebbero dunque necessari interventi che alleggeriscano la pressione fiscale sul prezzo dell’energia per le piccole imprese, eliminando le distorsioni che le penalizzano.

Per Confartigianato, tra l’altro, Evidenzia, l’eventuale ritorno al nucleare nel Paese non dovrà tradursi nell’abbandono degli investimenti nelle energie rinnovabili, che garantirebbero significtive opportunità per le Pmi.

Misure importanti per il recupero della competitività in ambito comunitario, dunque, in particolar modo in questo momento di crisi economica.

Ancora troppo critico, infine, il mercato libero dell’energia elettrica. E quindi poco conveniente per le Pmi: solo 1/6 delle piccole imprese ha finora colto le opportunità della liberalizzazione e ben una su 4 ha, in seguito, deciso di rientrare nel mercato tutelato.