L’Italia deve risarcire i pensionati transfrontalieri fra Italia e Svizzera ai quali è stato applicato un meccanismo di calcolo della pensione penalizzante. Lo stabilisce una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo del primo giugno 2017, relativa al caso specifico di otto pensionati che hanno lavorato per anni in Svizzera e a cui l’INPS aveva calcolato la pensione applicando criteri restrittivi rispetto a quelli previsti dalla convenzione fra i due paesi. Risultato: quasi 900mila euro da restituire. Un caso che crea un precedente importante per altri contribuenti in situazione simile.
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In parole semplici, i pensionati hanno presentato ricorso contro il criterio con cui l’INPS ha calcolato le loro pensioni, ritenendole troppo basse rispetto ai contributi versati: la Corte di Strasburgo ha dato loro ragione, disponendo un risarcimento totale pari a oltre 870mila euro, determinato dai calcoli più favorevoli relativi alle pensioni più i danni morali.
Il caso riguarda l’applicazione delle regole previdenziali inserite nella Convenzione italo-svizzera del 1962, e la legge 296/2006, favorevole invece al calcolo della pensione meno favorevole effettuato dall’INPS. In pratica, questi pensionati hanno percepito un taglio intorno al 67% delle relative pensioni. La sentenza contiene il dettaglio delle somme in meno percepite dal 2010 da questi pensionati, a cui si aggiungono 12mila euro a testa di danni morali.
Il metodo attraverso il quale l’INPS ha in questi anni calcolati l’importo delle pensioni dovute ai lavoratori transfrontalieri dunque è stato considerato illegittimo dalla Corte Europea. I ricorrenti hanno percepito come pensione di vecchiaia somme che variano da 714 a 1.820 euro: con un’unica eccezione, l’assegno è stato inferiore a quello della pensione mensile media italiana, e sei ricorrenti su otto hanno preso meno di mille euro al mese.
Le riduzioni subite da queste pensioni, rileva la Corte, hanno indubbiamente inciso sullo stile di vita dei ricorrenti e ne hanno ostacolato il godimento in modo sostanziale. Lo stesso si può dire anche delle pensioni più elevate, nonostante il fatto che esse consentano una vita più agiata. La Corte sottolinea anche il fatto che i ricorrenti hanno deciso consapevolmente di tornare in Italia in un momento in cui avevano la legittima aspettativa di poter percepire delle pensioni più elevate, e pertanto un tenore di vita più agiato, e si sono trovati invece in una situazione economica più difficile del previsto (a causa del sistema di calcolo applicato dall’INPS) e hanno dovuto intraprendere azioni legali per recuperare ciò che ritenevano fosse dovuto.
In conclusione ritiene che, dopo aver versato contributi per tutta la vita, perdendo il 67% delle loro pensioni i ricorrenti non hanno subito delle riduzioni proporzionate ma sono stati di fatto costretti a sopportare un onere eccessivo.