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Flat Tax e scaglioni IRPEF: convenienza a confronto

di Anna Fabi

16 Gennaio 2019 11:20

Lavoro da dipendente e autonomo con partita IVA a confronto alla luce delle ultime novità normative introdotte con la Legge di Bilancio 2019.

La Legge di Bilancio 2019 (Legge n. 145/2018) ha esteso il regime forfettario a tutte le partite IVA che rientrano nel limite dei 65.000 euro di ricavi. Di fatto con questa novità fiscale, il lavoro autonomo con partita IVA può convenire in molti casi rispetto al contratto da dipendente, ma anche rispetto a chi operi a partita IVA in regime di tassazione ordinaria. Vediamo un rapido confronto tra i due regimi fiscali.

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Forfettari vs. dipendenti

Una simulazione effettuata nelle scorse settimane dal Sole24Ore ha messo a confronto dipendenti e autonomi in gestione separata, entrambi residenti a Roma e con medesimo reddito lordo. Il reddito degli autonomi è stato calcolato con un taglio forfettario del 22% di compensi e la deducibilità integrale dei contributi Inps del 25,72%

Ebbene, ipotizzando ricavi annui lordi per 64mila euro (quasi la soglia massima consentita), una Partita IVA che rientri nella nuova Flat Tax al 15% pagherà a fine anno 10.200 euro di imposte in meno rispetto a un dipendente con reddito analogo e due figli a carico. Questo significa avere un netto mensile di 850 euro in più.

La convenienza si conserva anche con ricavi o redditi inferiori. Considerando che è sugli scaglioni IRPEF più bassi che il valore delle detrazioni sul lavoro dipendente è maggiore, anche ipotizzando un guadagno lordo di 30mila euro l’anno, comunque il forfettario con ricavi pari a 38.462 euro (reddito 30.000 euro) paga:

  • 4.260 euro di imposte in meno senza figli a carico;
  • 2.880 euro di imposte in meno con due figli a carico;
  • le stesse imposte con detrazioni per ristrutturazioni edilizie, spendendo almeno 57mila euro in lavori.

=> Flat tax Partite IVA, come rilevano i redditi 2018

Forfettari vs. ordinari

Il vantaggio della nuova Flat Tax si fa sentire anche con riferimento ad un titolare di partita IVA che operi in regime di  tassazione ordinaria. In caso di ricavi pari a 64mila euro (reddito 50.000 euro), il forfettario pagherà 5.300 euro in meno di imposte a fine anno, per un netto mensile di 440 euro in più. In caso di reddito pari a 30mila euro l’IRPEF del professionista ordinario sarebbe pari a 4,867 euro, contro i 3.343 euro del forfettario, che quindi pagherebbe 2.149 euro in meno di imposte e guadagnerebbe un netto di 179 euro in più al mese.

Va infatti considerato che il regime agevolato prevede l’applicazione di un’aliquota del 15% più bassa anche di quella prevista sul primo scaglione IRPEF (attualmente del 23% fino a 15mila euro, per poi passare al 27% fino a 28mila euro e quindi salire al 38% fino a 55mila euro) e l’abbattimento forfettario dei ricavi o compensi (ad esempio, per i professionisti il reddito è automaticamente considerato pari al 78% dei compensi).

Valutando il fatto che i forfettari  possono dedurre i contributi previdenziali, ma che con la tassazione ordinaria è possibile detrarre molte voci di costo, ad autonomi ed imprenditori può convenire il regime ordinario solo se, oltre alle deduzioni e detrazioni personali, hanno molte spese legate alla propria attività deducibili in via analitica che superino la percentuale di abbattimento dei compensi già riconosciuto dal forfait.

In generale, la convenienza del regime forfettario resta anche applicando l’aliquota del 20% che scatterà dal 2020 in base alla manovra economica a chi fatturi fino a 100mila euro l’anno.

Va infine ricordato che i forfettari hanno il vantaggio pratico di non dover applicare l’IVA e di non dover emettere la fattura elettronica.