Professionisti con obbligo POS: i limiti della norma

di Francesca Vinciarelli

Pubblicato 26 Novembre 2013
Aggiornato 20 Giugno 2014 12:41

La protesta contro l’obbligo di POS imposto dal 2014 ai professionisti: un beneficio soprattutto per le banche, che non tiene conto degli strumenti di tracciabilità alternativi.

L’obbligo per professionisti e studi di dotarsi di POS a partire dal 1° gennaio 2014 non piace al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC), che lo ritiene «un’inutile vessazione che costringerebbe gli architetti a sostenere i costi di attivazione, installazione e di utilizzo», nonché «un ulteriore regalo alle banche». Secondo una recente indagine della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, infatti, il nuovo obbligo previsto dal Decreto Crescita 2.0 (DL n. 179/2012) frutterà alle banche più di 2 miliardi di euro l’anno, senza portare grandi giovamenti all’attività dei professionisti, escludendo peraltro le carte di credito.

Applicazione e alternative

Ci auguriamo che il provvedimento venga ripensato apportando il necessario correttivo», conclude la nota del CNAPPC facendo riferimento al fatto che manca ancora il decreto attuativo del Ministero dell’Economia che definisca procedure e limiti per l’applicazione dell’obbligo di POS, nonché le sanzioni nel caso in cui non ci si metta in regola.Nel mettere a punto la norma, inoltre, secondo il Consiglio degli Architetti non si sono inoltre presi affatto in considerazione ad altri strumenti atti a garantire la tracciabilità dei pagamenti, come i bonifici bancari o le carte di debito o di credito virtuali. Strumenti che garantiscono la tracciabilità, combattendo l’evasione fiscale ma che non implicano nuovi oneri per i professionisti.

Il provvedimento, così come è stato elaborato «dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, come Governo e Parlamento siano lontani e quasi estranei dai reali problemi del Paese. Le professioni tutte stanno soffrendo in maniera pesante l’impatto della crisi economica. Gli architetti italiani la stanno pagando con la chiusura degli studi professionali e con una generazione di giovani professionisti destinati, di fatto, ad emigrare o a svolgere nel proprio Paese altri mestieri.