Il gap italiano dell’innovazione

di Alessia Valentini

Pubblicato 17 Ottobre 2012
Aggiornato 18:11

La fotografia di Bankitalia sulla mancanza di innovazione delle imprese italiane in confronto al resto d'Europa: cause e rimedi.

Un vecchio proverbio recita: aprire un’azienda è semplice, difficile è tenerla aperta. Sarà per questo che in Italia ci sono molte start-up e altrettanto numerose aziende che falliscono.
Certamente c’è un problema importante di risorse economiche, ovvero una notevole difficoltà di accesso al credito. Ma vi è un altrettanto importante problema di innovazione tecnologica, carburante della longevità di un’azienda.

Il gap tecnologico

La fotografia scattata dalla Banca d’Italia nello studio “Il gap innovativo del sistema produttivo italiano: radici e possibili rimedi” non lascia dubbi in merito, ma per fortuna suggerisce anche possibili rimedi.

Il report analizza i motivi della mancata innovazione sul territorio italiano rispetto agli altri paesi della comunità europea, individuando le cause che si traducono in diminuzione di produttività e di conseguente competitività: negli ultimi dieci anni la produttività per ora lavorata in Italia è cresciuta dell’1,4% appena, contro una media UE dell’11,4 e un dato tedesco del 13,6%.

Quel che emerge è la cronica mancanza di “salto innovativo” a fronte di un’attività innovativa quantitativamente diffusa e la scarsità di investimenti in macchinari o asset intangibili (brevetti e attività di ricerca e sviluppo).

Ulteriori dettagli sullo stato dell’arte delle start-up innovative italiane lo ha fornito di recente il Governo,finalizzate alla stesura di un “piano di attacco” a livello nazionale:

Start-up innovative => le agevolazioni in arrivo

Le cause

I seguenti fattori fanno sì che in Italia siano poche le imprese che effettuano investimenti in R&S, generando un problema di margine estensivo:

  • frammentazione del sistema produttivo, con una moltitudine di piccole imprese incapaci di assumersi i rischi di una costosa attività di R&S.
  • struttura manageriale spesso restia all’innovazione (in particolare organizzativa e gestionale)
  • carenza di capitale umano, soprattutto nelle funzioni manageriali e di ricerca.
  • flessibilità dei rapporti di lavoro per i più giovani (mediamente più istruiti) eccessiva, disincentivo – per lavoratore e azienda – a investire in attività di formazione mirata ai bisogni aziendali.

Su tutto pesa la carenza di risorse finanziarie: in Italia risulta poco sviluppato il settore del venture capital il cui compito è quello di fornire capitale di rischio, nonché consulenza, alle imprese giovani e di piccole dimensioni, operanti in settori innovativi.

I rimedi

Occorrono azioni di contesto che favoriscano la crescita dimensionale delle imprese e l’adozione di strutture manageriali più moderne. Non meno importanti le risorse pubbliche per incentivi alle imprese:  pari allo 0,06% del PIL, sono inferiori a quelle di altri paesi europei generando risultati modesti.

Per ora gli occhi sono puntati sulle strategie del Governo previste dal DL Sviluppo: leggi le misure per un’Italia in Digitale e per  Start-up 2.0

Intanto, però, come cambiare rotta? Lo studio di Bankitalia suggerisce soluzioni pratiche e di lungo corso.

Razionalizzando le spese, favorendo la semplicità delle norme accrescendone la stabilità, garantendo certezza delle erogazioni in tempi rapidi, prevedendo meccanismi di monitoraggio e valutazione degli interventi in un contesto di trasparenza e accountability del policy maker.

Anche il coinvolgimento di soggetti privati e specializzati potrebbe servire, ma sempre in un’ottica di ottimizzazione delle risorse pubbliche per evitare il problema dei “consulenti fortemente consigliati”.

Utile anche un maggior ricorso agli intermediari di private equity e al Fondo Italiano di Investimento per favorire rafforzamento patrimoniale e processi di aggregazione tra PMI, anche coinvolgendo operatori privati.

Buone pratiche e risultati potrebbero essere premiati con trattamenti fiscali agevolati, o perseguiti tramite incentivi, per favorire le operazioni di ristrutturazione aziendale e rendere meno onerose le operazioni di fusione e aggregazione.

Infine, il primo e ultimo vero tassello verso l’innovazione è l’istruzione ripensata in un’ottica di merito – per chi studia e per gli atenei – e competizione per stimolarsi alla ricerca e all’eccellenza, aumentando anche l’interazione con il sistema produttivo.