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Riforma del lavoro, l’associazione in partecipazione

di Barbara Weisz

Pubblicato 4 Settembre 2012
Aggiornato 14 Novembre 2012 10:39

La riforma del lavoro salva le piccole realtà fino a tre associati: sopra questo limite, scatta l'assunzione a tempo indeterminato. L'eccezione dei parenti e dei contratti certificati. Ecco le modifiche.

In un’azienda il numero degli associati in partecipazione con apporto di lavoro non può essere superiore a tre. E quando il contratto di associazione in partecipazione non rispetta questi limiti, tutti gli associati diventano automaticamente dipendenti a tempo indeterminato.

Lo prevede la riforma del lavoro in tema di contratti di associazione in partecipazione, riforma che fa scattare il tempo indeterminato anche nei casi in cui non vengono rispettate le norme sulla partecipazione agli utili o quelle sulla rendicontazione previste dal codice civile.

In sostanza, c’è una stretta orientata a rafforzare le regole contro i comportamenti elusivi.

Ci sono una serie di deroghe che riguardano alcuni contratti in essere prima della riforma (quelli certificati), e i rapporti di parentela. Le nuove norme sono contenute nei commi dal 28 al 31 dell’articolo 1 della riforma del lavoro (legge 28 giugno 2012, n. 92). Vediamo esattamente cosa prevedono.

Il contratto di associazione in partecipazione è regolamentato dal Libro V titolo VII del Codice Civile, con gli articoli dal 2549 al 2554. L’associante (l’imprenditore) «attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto».

Le novità introdotte dalla riforma riguardano in particolare il caso in cui l’apporto dell’associato sia anche lavorativo (l’avverbio anche è importante perché indica che la norma riguarda sia gli associati il cui apporto è costituito dal solo lavoro sia quelli il cui apporto e misto, capitale e lavoro).

Il limite dei tre associati

Secondo il comma 28 dell’articolo 1, come detto, gli associati non possono essere più di tre (indipendentemente dal numero degli associanti). E se questa soglia viene superata, l’assunzione a tempo indeterminato non scatta solo per il quarto contratto, ma per tutti quelli in essere.

Fanno eccezione i casi in cui l’associato sia legato all’associante da alcuni vincoli di parentela:

  • matrimonio;
  • parentela entro il terzo grado (figli e genitori, fratelli e sorelle, nipoti e nonni, nipoti e zii, bisnipoti e bisnonni);
  • affinità entro il secondo grado (suoceri, generi, cognati).

E fanno eccezione (in base al comma 29) anche alcuni contratti in essere prima dell’entrata in vigore della riforma. Per la precisione, sono fatti salvi, «fino alla loro cessazione», i contratti in essere che, al 18 agosto 2012, erano «certificati ai sensi degli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276». Il riferimento è alle procedure di certificazione che, secondo la norma citata, possono riguardare una serie di tipologie contrattuali (oltre all’associazione in partecipazione, anche i  contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto) e che vanno attuate attraverso determinati organismi abilitati (direzioni del lavoro, enti bilaterali, università).

Partecipazione agli utili e rendicontazione

Scatta la trasformazione a tempo indeterminato anche quando il contratto di associazione in partecipazione (sempre limitatamente ai casi in cui ci sia anche un apporto di lavoro) viene instaurato o attuato senza «un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare», oppure «senza consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 del codice civile». Secondo il citato articolo del codice civile, l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno».

L’assunzione con contratto dipendente scatta anche quando l’apporto di lavoro dell’associato non presenta «i requisiti di cui all‘articolo 69-bis, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276», cioè quando non si tratta di un contributo lavorativo connotato «da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività».

Tutto questo sostituisce il comma 2 dell’articolo 86 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che aveva sempre l’obiettivo di contrastare comportamenti elusivi prevedendo in caso di rapporti di associazione con apporto di lavoro, i requisiti di adeguate erogazioni ed effettiva partecipazione, che vengono più precisamente regolamentati dalle nuove norme previste dalla riforma.

Aliquote contributive

L’aliquota per la gestione separata dell’INPS viene alzata nella stessa misura delle collaborazioni a progetto: al pari al 33% nel 2018 (contro l’attuale 26,72%) per chi non è iscritto ad altre forme assicurative e al 24%, sempre al 2018 (dall’attuale 18%) per gli iscritti.