Native advertising: illecito e ingannevole?

di Carlo Lavalle

Pubblicato 9 Gennaio 2014
Aggiornato 12 Febbraio 2018 19:33

Il native advertising sui media digitali rischia di diventare una pratica illegale e ingannevole contro cui vanno fatte valere le norme a garanzia degli utenti. L’avvertimento viene dalla Federal Trade Commission Usa che lanciato il suo monito davanti a una platea di rappresentanti dell’editoria, industria pubblicitaria e associazioni dei consumatori, chiamata a discutere in un workshop a Washington il 4 dicembre.

E’ oggetto di contestazione il fatto che nel native advertising online i contenuti a pagamento pubblicitari molto spesso non sono distinguibili dai normali articoli inseriti in un sito, inducendo in errore chi legge. Le linee di confine a volte tendono a saltare cadendo nell’illecito. A volte sono le testate web come riferisce Adam Ostrow di Mashable ad incaricare un redattore di scrivere il messaggio pubblicitario alimentando una confusione pericolosa. Il native advertising, considerato meno invasivo di altre forme di pubblicità , è in forte ascesa rappresentando una fonte di entrata in crescita. I promoted tweets di Twitter o i promoted posts di Facebook rientrano in questa categoria. Il native advertising viene inoltre ritenuto un rimedio contro la cecità  da banner, un fenomeno frequente che porta gli utenti ad ignorare i banner pubblicitari. Secondo una indagine dell’Online Publishers Association il 73% degli editori online ha utilizzato questa forma di pubblicità  e un ulteriore 17% vi farà  ricorso.