TFR per la crescita: occasione perduta?

di Anna Fabi

5 Novembre 2014 09:10

TFR, tutti lo vogliono: per far fronte a esigenze del lavoratore, consumi, risparmio, previdenza, Fisco. Ma che dire della crescita? Analisi di Paolo Marizza, Partner di Financial Innovations*.

TFRCon il varo della misura “TFR in busta paga” nell’ambito della Legge di Stabilità, si è sollevato un polverone che rischia di vanificare la possibilità di affrontare la questione con la necessaria professionalità e serietà. Il dibattito, talvolta scaduto in un concitato vociare, si è concentrato prevalentemente su:

  • maggior prelievo fiscale sulle quote di TFR trasformate in stipendio (aliquota marginale) rispetto alla tassazione separata operata al temine della vita lavorativa;
  • bassa propensione dei lavoratori nel chiedere il TFR in busta paga (tassi di adesione previsti inferiori al 20%);
  • misure compensative della perdita di liquidità per le imprese;
  • congruità del Fondo Garanzia presso l’INPS e garanzie ad hoc fornite dallo Stato alle Banche;
  • sperequazione nei confronti dei dipendenti pubblici (esclusi dalla misura, come peraltro dalla normativa attuale);
  • “spiazzamento” della previdenza integrativa, in conseguenza di flussi attuali e potenziali che non la alimenterebbero più, peraltro sottovalutando gli impatti a livello macro economico.

=> TFR: normativa in evoluzione

Un confronto costruttivo avrebbe dovuto focalizzare alcune problematiche chiave rimaste sullo sfondo del polverone mediatico:

  • Quale regime di tassazione potrebbe risultare non penalizzante per il lavoratore, neutrale e incentivante per lo sviluppo del secondo pilastro previdenziale?
  • Come assicurare una gestione efficiente del risparmio accantonato nel TFR, difficilmente realizzabile da una PMI che è tutto fuorché un gestore finanziario professionale?
  • Come far ripartire un ciclo di sviluppo e di investimenti nelle e da parte delle PMI, mobilizzando e canalizzando i flussi di TFR anche a questo fine?

L ’opportunità di revisione dei meccanismi di accantonamento del TFR per una sua più efficace allocazione, già in parte avvenuta attraverso il canale dei fondi pensione, è quanto mai attuale ed urgente, ma richiede risposte coerenti, convincenti e rassicuranti in merito agli impatti sugli equilibri sistemici della manovra nell’ottica di contribuire a ricreare le condizioni per la crescita dell’ economia reale.

TFR: occasione di crescita

L’Assofondipensione, stando alle dichiarazioni del suo Presidente, ed anche alcune parti sociali (la CGIL), sembrano aver raccolto la sfida. La vera svolta per la previdenza integrativa consiste infatti nel passare dalla prudenza al sostegno della crescita del paese. La gestione “prudente” dei Fondi pensione negoziali ha comportato che l’allocazione del risparmio previdenziale (TFR in prevalenza) sia finita per quasi due terzi in un impiego estero, mentre il rimanente è stato impiegato in titoli dello Stato italiano. Se da un lato tale prudenza è stata premiata perché ha permesso di non mettere a rischio le future rendite pensionistiche ( anche se con rendimenti di poco superiori all’inflazione), il cosiddetto bias (pregiudizio) domestico ha comportato una disallocazione di parte del risparmio: dai territori nazionali in cui si forma all’estero, magari in aziende concorrenti delle nostre, sicuramente non aiutando la ripresa occupazionale. Da qui la proposta di costituire un “fondo di fondi” alimentato dai Fondi Pensione con cui contribuire a finanziare gli investimenti di medio e lungo periodo che servono al rilancio del paese.

TFR per lo sviluppo

Già nel 2010, in uno studio di fattibilità per la costituzione di un Fondo Pensione Regionale (FPR) avanzai una proposta per favorire la partecipazione alla previdenza integrativa da parte dei lavoratori delle piccole medie imprese. Queste ultime avrebbero mantenuto il TFR in azienda, senza alcun deflusso di liquidità, in quanto il sistema bancario si poteva sostituire all’impresa nel versamento del TFR maturando al Fondo Pensione Regionale. Le banche, divenendo creditrici per tali somme nei confronti dell’impresa che trattiene il TFR, sarebbero subentrate anche nella garanzia di liquidazione del TFR fornita dall’INPS. L’impresa avrebbe liquidato alla banca il relativo montante al momento della cessazione del rapporto di lavoro col dipendente che sarebbe invece rimasto creditore verso il FPR per l’ammontare della rendita o del montante previdenziale integrativo. Il FPR avrebbe in tal modo potuto conseguire masse critiche di raccolta che avrebbero potuto essere investite in parte anche nelle PMI, direttamente o attraverso un Fondo di Fondi costituito ad hoc con altri Fondi Pensione territoriali e nazionali.

=> Speciale Fondi Pensione

In una prospettiva nazionale, per un periodo di tempo limitato e utilizzando il meccanismo della cessione del credito da parte del lavoratore, oggi varrebbe la pena di esplorare la possibilità di mettere si in busta paga parte del TFR maturando (consumi), dando al contempo al dipendente la facoltà di conferire ai Fondi Pensione una parte (20-30% ad esempio) del TFR maturato, quello accumulato nei precedenti anni di lavoro (crescita). A livello nazionale lo stock di TFR maturato è pari a ca 150-200 miliardi di Euro. Tale manovra conferirebbe masse critiche significative (30-50 miliardi di Euro) alla previdenza complementare e potrebbe favorire l’ulteriore sviluppo di Investitori Istituzionali come i Fondi Pensione, che reinvestirebbero parte di tali flussi nell’economia reale (infrastrutture, PMI, ecc.). Stimolare i consumi può andar bene, ma una manovra di reindirizzo e canalizzazione delle risorse al sostegno del pilastro sempre più fondamentale della previdenza integrativa appare necessario. Implicherebbe innanzitutto ulteriori incentivazioni ed agevolazioni al risparmio previdenziale, non la penalizzazione prevista nella legge di stabilità 2015.

=> Previdenza complementare: strumenti e rendimenti

Per la Legge di Stabilità sarà una settimana cruciale nella quale i partiti, ma anche le diverse commissioni parlamentari e i singoli deputati, saranno impegnati nella messa a punto degli emendamenti. L’auspicio e che si miri a introdurre un fisco agevolato, così come a cancellare l’aggravio del prelievo sui fondi pensione, aumentato dall’11 al 20%, che penalizza una delle gambe su cui costruire il futuro e la crescita.

Si potrebbe ad esempio differenziare la fiscalità degli strumenti previdenziali in ragione della loro tipologia e individuare agevolazioni fiscali a “geometria variabile” nella fase di accumulo previdenziale in relazione alle diverse fasi del ciclo economico. Un passaggio parlamentare migliorativo e meno pregiudizievole per lo sviluppo futuro del secondo pilastro previdenziale potrebbe anche creare condizioni favorevoli alla concretizzazione della proposta di Assofondipensione e della CGIL: far evolvere questi Fondi in investitori di lungo periodo nell’economia reale, investitori di cui il nostro paese ha urgente bisogno per tornare a crescere.

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* Paolo Marizza è Partner di Financial Innovations, società specializzata nella consulenza sui temi di finanza e risk management alle Imprese ed alle Istituzioni Finanziarie.