Informatica: mercato lavorativo da Odissea

di Davide Cleopadre

27 Ottobre 2010 09:00

Tra il serio e il faceto, il burrascoso viaggio nel rutilante mercato del lavoro informatico

Ci era stato insegnato che i cicli economici erano sempre più brevi, e che era stata l’Informatica ad accelerarli. Ebbene, affacciandosi sul job market ai nostri esordi, eravamo dunque fieri di lavorare proprio nel mercato che aveva “rivoluzionato” l’Economia: sarebbe stata solo gloria! Sbagliato: dopo oltre dieci anni di esperienza nel campo informatico oggi dovremmo essere diventati tutti dei guru, eppure le cose non stanno esattamente così.

Nell’Informatica, appena si comincia a “masticare il linguaggio”, di colpo tutto si rinnova e si moltiplicano immediatamente le cose da imparare. Per cui tutti coloro che lavorano in questo settore, dipendenti e liberi professionisti, hanno l’obbligo di mantenersi aggiornati, sempre.

Alla luce di queste oggettive difficoltà, l’Informatica tende sempre più a divenire un comparto in outsourcing nelle imprese italiane: per avere in azienda personale sempre ben qualificato, ci si rivolge a società di recruiting per individuare figure specialistiche per le proprie necessità software.

Fiore all’occhiello di questo dinamico mercato, dunque, non sono certo le software-house, ma le sedicenti “società di informatica“, quelle che si occupano di reperire professionisti per il cliente finale.

E fin qui nulla di strano. Il punto è che in questo settore in Italia esistono a mala pena 4/8 grossi player eppure, a guardare l’elenco telefonico, sono centinaia! Ci si chiede perciò come facciano a non soccombere su un mercato dominato da player così consolidati. E qui scatta il fenomeno “subappalto“…

La gran parte delle società di informatica si occupa di Body Rental: reperisce la risorsa, la mette sotto qualche forma di contratto (in genere da precario…) e la “rivende” ad una seconda società che, a sua volta, colloca la risorsa presso il cliente finale oppure la “rivende” a una terza.

Chi ci guadagna da tutto questo giro? Di certo nè il professionista IT nè il cliente finale, su ci ricadono doppi costi senza saperlo. Il punto è che, pur volendosi “chiamare fuori”, è ancor più problematico raggiungere i clienti finali senza passare per intermediari. Ci si aspetterebbe dai grossi player decine di annunci ma invece, a parte pochissimi casi, le offerte dirette di lavoro IT sono rare.

Non credete che possa essere un’odissea lavorare come Informatico? Vi riportiamo allora alcune esperienze reali, raccolte tra colleghi.

Caso 1: giovane con neo-laurea triennale in Informatica

La giovane risorsa “sa di non sapere”, va bene, però vuole crescere in una azienda sana. Eppure gli vengono proposti solo stage, poi stage, poi altri stage. Per quanto “sappia di non sapere”, trova infine una alternativa all’ennesimo stage (massimo seicento euro di rimborso spese): il suo capo però ci rimane male quando molla lo stage, e prova a rilanciare alle stesse condizioni del nuovo lavoro. Il giovane oramai è già passato dall’altra parte…

Diciamo che siamo partiti con un caso ottimo: il giovane laureato riesce a trovare un impiego e, sebbene sempre con un contratto precario, a fare un po’ di concreta esperienza professionale.

Caso 2: Informatico con esperienza decennale in cerca di nuove opportunità

Il professionista viene contattato, telefonicamente, dalla famosa “società di informatica” (quella del Body Rental, per intenderci) dopo l’invio del proprio CV.

Società – «Abbiamo avuto il suo CV: lei conosce la tecnologia XY vedo, ma conosce anche la XY+1? (uscita da 6 mesi, n.d.r.)».
Candidato – «Conosco bene la XY, la XY +1 sto cominciando ad utilizzarla».
Società – «Ma il cliente chiede almeno 2 anni esperienza sulla tecnologia XY+1».
Candidato – «Mi spiace non ce l’ho».
Società – «La terremo presente per prossime ricerche».

Certamente, nessun addetto alla selezione del personale può conoscere proprio tutte le tecnologie informatiche, ma cercare di fare una selezione “seria” sarebbe meglio per tutti…

Caso 3: Informatico con esperienza decennale che ha perso il lavoro

Stesso candidato, adesso il lavoro l’ha perso e ha necessità di lavorare: dopo l’invio del CV viene chiamato per un colloquio con la famosa “società di informatica”.

Il primo incontro di solito avviene con un “non tecnico”, ragion per cui diviene un mero proforma. Ma allora perché perdere e far perdere tempo? I colloqui hanno un costo per entrambi!

Quando va bene e si passa al secondo step, il colloquio lo si sostiene con la società di primo livello, quella che ha il contatto con il cliente finale. E qui scattano le Olimpiadi dell’Informatica, tra colloqui tecnici multipli e test di matematica. E si giunge al colloquio finale…

Selezionatore tecnico del cliente – «Lei conosce la tecnologia YXZ»?
Candidato – «Certo, l’ho usata nel progetto Alpha vers 1».

Selezionatore – «E cosa faceva questo progetto?»

Candidato – «Divideva gli atomi di adamantio da quelli di triluzio mentre metteva in funzione il Teletrasporto».

Selezionatore – «Il Teletrasporto? E no, non va bene! Noi usiamo il sistema di bolle concentrate mappate sul cromosoma X.

Candidato – «E cosa cambia? Le tecnologie hanno la stessa base: posso imparare il vostro sistema molto facilmente».

Selezionatore – «Mah, non so. Noi avevamo richiesto un candidato operativo da domani.

Candidato – «Ma nel mio CV è scritto chiaramente che il mio campo è l’automazione industriale teletrasportata. Perché allora mi avete fatto fare 4 colloqui tecnici?

Selezionatore – «Ah, questo non lo so. Noi vogliamo una persona rispondente al 110% e operativa da ieri. Comunque le faremo sapere.

Morale? Non sappiamo quale sia la morale. Sappiamo che una volta, in un determinato mercato, c’erano un certo numero di specialisti e un certo numero di “quasi specialisti”. Quando cercavi uno specialista andavi da uno dei tuoi concorrenti e cercavi di convincerlo a suon di contratti e busta paga, e se non potevi prendevi un quasi specialista e lo formavi.

Oggi si pretende di avere il candidato perfetto, pagarlo due lire ed averlo da ieri e già operativo. Siamo sicuri che sia il mercato che vogliamo?